Il cacciatore torna al cinema restaurato in 4K: ne vale la pena?

Nella laboriosa Pennsylvania vivono Mike (Robert De Niro) e Nick (Christopher Walken), operai siderurgici che si preparano a combattere in Vietnam. Legati da profonda amicizia, sono parte di una radicata comunità slava e di un gruppo affiatato che include Steven (John Savage), collega di lavoro anche lui chiamato a servire la patria ma non prima di essersi sposato con Angela (Rutanya Alda). La celebrazione del matrimonio, l’ultima battuta di caccia in montagna, il traumatico risveglio nell’inferno del Vietnam e il drammatico ritorno a casa. Mike cerca di tenere tutti a distanza tranne l’amata Linda (Meryl Streep), con un solo braccio funzionante Steven rifiuta la vita familiare, mentre un pesante trauma psicologico tiene ancorato Nick a Saigon, in una costante scommessa con la morte. Onorando la promessa fatta prima della partenza per il fronte, Mike si mette sulle tracce dell’amico all’interno della capitale sud vietnamita in fiamme e con i Vietcong alle porte.

Restaurato in 4K, Il cacciatore è l’indimenticabile e imperdibile opera per scoprire il talento registico del compianto Michael Cimino, genio e sregolatezza che nel 1978 firmava un’opera struggente sugli orrori della guerra e il potere dell’amicizia. Evento speciale al cinema da lunedì 22 gennaio a mercoledì 24. Ecco infatti tutti i dettagli sull’uscita in sala de Il cacciatore.

Dentro la “Nuova Hollywood”

Il cacciatore è una pietra miliare della storia del Cinema che lasciò un segno indelebile al suo passaggio. Opera dal budget problematico nella quale intervenne la britannica EMI per consentire alla produzione di progredire, risolvendo soprattutto i costi in Thailandia. Cimino dimostra da subito grande padronanza del mezzo cinematografico, portando in scena il dramma della campagna bellica statunitense nel sud-est asiatico con una maturità artistica paragonabile a quella di Coppola in Apocalypse Now.

Parte di quella che fu l’epoca della “Nuova Hollywood”, dopo l’esordio letteralmente col botto con Una calibro 20 per lo specialista – Thunderbolt and Lightfoot, nel 1978 Cimino bruciò le tappe raggiungendo l’apice della carriera con il Il cacciatore – The Deer Hunter. La strepitosa sceneggiatura scritta da Deric Washburn (2022: la seconda odissea – Silent Running), da una storia dello stesso Cimino assieme a Louis Garfinkle e Quinn K. Redeker (senza particolari ricerche storiografiche), reclamava una compagine di attori perfettamente in sintonia proprio come quelli scelti da Cimino. Secondo ruolo della Streep per il grande schermo, nel cast ricordiamo il gestore del bar George Dzundza e Chuck Aspegren, vero operaio siderurgico assoldato sul campo, con la sua ricorrente battuta “Fuckin A” (dal gergo militare “Fuckin Affermative”) da noi tradotto in “D’accordissimo”. La trama si sviluppa in 3 distinti atti: dalla piccola comunità slava di Pittsburgh, alla giungla del Vietnam e ritorno.

La fine dell’innocenza

Storie di vita comune straziate da una guerra dai confini incomprensibili. L’intento del film è evidente, quanto sfuggente il significato metaforico. Nella fase centrale del racconto si sublima l’orrore della guerra attraverso la feroce roulette russa, senza peraltro avere riscontro rispetto ai resoconti storici dell’epoca.

Concentrandosi sulla brutalità della guerra che corrode la sanità mentale sarebbe stata sufficiente l’incursione nel villaggio di contadini, dove Nick e Steven ritrovano Mike. Rispetto alla follia rappresentata da un conflitto bellico si va per contro a giustificare la presenza di uomini in lotta contro il male, rappresentato da orchi che infliggono torture e morte giocando d’azzardo. Criticato per lo spirito razzista che giustificava l’intervento militare, le imprecisioni storiche e il vittimismo americano, l’infernale girone dantesco del Vietnam e ciò che ne scaturisce proclamano in modo disturbante quanto la guerra sia disumanizzante e arbitraria.

Il bene e il male sono alla base di una narrazione che affronta temi che il film non sembra (voler) comprendere fino in fondo, esplora realtà con cui non si identifica appieno, rivolgendosi a un pubblico che a 46 anni dall’uscita nelle sale potrebbe non sapere nulla di quella guerra, così lontana eppure così attuale. Impossibile raggiungere il medesimo grado di incisività e retrogusto amaro di una visione in sala nel ’78 da parte di uno spettatore statunitense, a soli 3 anni dal termine di quel conflitto ventennale. Quando Mike colpisce il cervo prima di partire per il Vietnam, agendo in maniera diametralmente opposta nella battuta di caccia di ritorno dal fronte, l’atto assume il significato della fine dell’innocenza. Immagine dal forte significato morale, tanto efficace quanto ovvia, analoga alla scena in cui Nick in ospedale non riesce a proferire parola perché traumatizzato da ciò che ha vissuto. Nel 1978, quando il cinema era impegnato a sfidare i principi su cui la generazione precedente aveva costruito la nazione, ciò sarà anche sembrato audace o quantomeno efficace, ma col passare degli anni il rischio è quello di ritrovarsi a vagare per lande prive della medesima spinta suggestiva.

46 anni dopo…

A non essere invecchiato di un giorno è il sentimento di profonda amicizia che fa da collante tra i personaggi, chiave per esorcizzare il dramma: è attraverso di loro che Cimino racconta un’America sconfitta che unendosi nel dolore intraprende la strada del superamento, ripartendo con la flebile speranza di un domani migliore.

La coesione e il cameratismo tra gli attori sul set furono memorabili, senza però aver dato maggiore spazio a uno sviluppo psicologico ancor più efficace. Il cacciatore resta ancora oggi un film non così facile da incasellare, sfuggendo perlopiù alle definizioni: coinvolge e arriva a toccare nel profondo nonostante la sottigliezza dei personaggi e la semplicità della storia, ha un afflato epico e un peso anche se la posta in gioco sembra sempre meno alta del dovuto. Opera che in parte raggiunge la massima espressione creativa forse proprio dove non la stava cercando: non cambierà radicalmente la prospettiva sulla guerra, l’onore, la lealtà, i veri sentimenti e soprattutto l’amicizia, eppure è in grado di scatenare emozioni forti in misura più o meno consapevole.

Una folle ricerca visiva

Nel corso delle riprese non sempre Cimino aveva le idee chiare su cosa stesse cercando visivamente. “Michael non lo sapeva”, ha dichiarato in un’intervista il compianto direttore della fotografia Vilmos Zsigmond. Quello stile debordante e noncurante delle spese che lo portò al suicidio commerciale nel successivo film era già presente: per il primo atto Cimino aveva organizzato una festa da ballo quasi senza sosta, che si è protratta per ben 5 giorni riducendo attori e comparse allo sfinimento, tanto che a un certo punto De Niro e Cazale crollarono a terra, proprio come si vede nel film. “Erano così stanchi”, ha ricordato Zsigmond, “quella caduta fu ovviamente un incidente, ma solo allora Michael si rese conto che era quello che desiderava”. Peraltro secondo film in cui De Niro appare completamente nudo, a distanza di due anni da Novecento di Bertolucci.

Tra le pretese maggiori del regista quella di girare in Thailandia per garantire realismo, spostando l’ago della bilancia del budget da 7 a 13 milioni di dollari. In quel periodo governavano i militari, il cui leader supremo Kriangsak Chomanan fornì alla produzione quanto occorreva per le riprese, salvo poi riprendersi tutto alla svelta a causa di un colpo di stato. Nel cast va ricordata la presenza del grande attore John Cazale (Il padrino 1 e 2, La conversazione, Quel pomeriggio di un giorno da cani), che nonostante le difficoltà legate al cancro che lo stava divorando (che il regista tenne segreto per evitare che la produzione lo licenziasse) recitò senza risparmiarsi, confortato dall’amata fidanzata Meryl Streep, morendo a breve distanza dalla fine delle riprese (qui altre 5 curiosità su Il cacciatore). Citazione di merito anche per la colonna sonora di Stanley Myers, con la partecipazione di John Williams.

Il cacciatore, ieri e oggi

Il cacciatore valse a Cimino l’Oscar per il miglior film e regia, così come per l’attore non protagonista (Christopher Walken), suono e montaggio. Regista che ritirava i preziosi riconoscimenti dell’Academy mentre era in procinto di iniziare quella maledetta epopea produttiva chiamata I cancelli del cielo – Heaven’s Gate, sconfinata follia colma di “capricci” il cui budget andò letteralmente fuori controllo. Un biblico fiasco commerciale che fu spartiacque decretando la fine della “Nuova Hollywood”, facendo dichiarare bancarotta alla United Artist poi assorbita dalla Metro-Goldwyn-Mayer.

In occasione del 40° anniversario il capolavoro di Cimino è stato restaurato da Studio Canal partendo dal negativo arrivando a un master 4K nativo, lo stesso in formato DCP Cinema proiettato nelle nostre sale. Ricordiamo che trattasi di pellicola a bassa sensibilità ASA (100 Tungsteno), dove le riprese parzialmente illuminate riportano a tratti una pesante grana di fondo, riscontrabile già sul bianco dei titoli di testa. A differenza dell’attuale, unica, edizione UHD/4K Blu-ray in circolazione in Italia, la visione in sala non ha palesato i limiti evidenti di compressione che per contro affiorano in particolare nella sequenza della fuga dal campo di prigionia. Disco che peraltro beneficia unicamente di migliore compressione dinamica HDR-10, mentre le edizioni estere britannica (2018) e statunitense (2020) hanno in più il Dolby Vision. La comparativa tra queste due edizioni palesa un più elevato bit rate per l’americana, anche se in alcuni passaggi appare più carica di grana rispetto all’inglese.

Fonte : Everyeye