La pista sessuale, il finto incidente e lo 007 che faceva finta di cercare Giulio: tutte le bugie dell’Egitto sul caso Regeni

Una rete di depistaggi tessuta con maestria dalle autorità egiziane, fin dai primi istanti del ritrovamento del corpo. È quanto è emerso con nuovi, inquietanti dettagli, nel corso dell’udienza davanti alla Corte d’Assise di Roma sul caso di Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo e ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016.

Secondo le testimonianze rese dagli uomini dello Sco (Servizio centrale operativo) della polizia e del Ros, uno degli imputati al processo avrebbe partecipato a numerosi punti chiave delle indagini, contribuendo a depistarle. “Quello con gli occhiali da sole è il colonnello Helmi, era presente molto spesso”, ha confermato in aula il colonnello del Ros dei carabinieri Loreto Biscardi.

Si tratta di Uhsam Helmi, imputato iniseme al generale Sabir Tariq e ai colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahi e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e in omicidio aggravato.

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Uhsam Helmi, uno degli 007 della National Agency egiziana, era presente già al sopralluogo del 10 febbraio 2016 lungo la strada dove fu ritrovato il corpo di Regeni, e, da lì, ha continuato a partecipare a quasi tutti gli incontri dei team investigativi italiani e egiziani. Un punto di osservazione privilegiato che permetteva a lui e agli altri 007 del Cairo di tutelarsi in anticipo seguendo le indagini passo passo per sabotarle fornendo una serie di piste poi rivelatesi tutte clamorosamente false.

La pista passionale, il finto incidente e le opere d’arte rubate: tutti i depistaggi degli 007 egiziani

Vincenzo Nicoli, all’epoca capo della seconda divisione Sco, ha parlato davanti al procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ricordando come gli investigatori egiziani tentarono di attribuire la morte di Giulio ai motivi più diversi: dall’incidente stradale, alla pista sessuale, fino a quella del traffico di opere d’arte. Piste che nulla avevano a che vedere con le reali ragioni dell’omicidio.

“Nell’immediatezza dei fatti sono stati fabbricati dei falsi per depistare le indagini. In primis l’autopsia svolta al Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale”, ha spiegato il procuratore. “La primissima ipotesi prospettata dalla National Agency era relativa a un incidente stradale”,  conferma Nicoli, ma “era incompatibile sia per la posizione del cadavere sia per le condizioni del ritrovamento del corpo”, prosegue.

“Al team investigativo italiano man mano che si andava avanti furono prospettate diverse ipotesi tutte corroborate da verbali di sommarie informazioni o da attività giornalistiche che ci venivano prospettate come ipotesi”, spiega. “Una delle piste più suggerite fu quella di un ipotetico coinvolgimento di Giulio Regeni in un traffico di opere rubate”. Pista rivelatasi priva di ogni fondamento.

“Altro tema riguarda la sfera sessuale”, ha proseguito Nicolì parlando dell’ipotesi secondo cui “Regeni si era mostrato interessato a una ragazza” e che questo “avrebbe suscitato la reazione degli amici” della donna. E, ancora, gli egiziani avrebbero fatto riferimento a “una sorta di litigio avvenuto nei pressi dell’ambasciata”.

“Ostruzionismo”, “depistaggi” e un “clima di intimidazione”, ripete l’avvocato di parte civile Alessandra Ballerini durante l’udienza di oggi, 2 maggio, alla presenza di Claudio e Paola Regeni, i genitori del giovane ricercatore che non hanno mai smesso di chiedere la verità.

Fonte : Today