Citrobacter, cosa sappiamo dell’allarme a Verona

Torna l’allarme citrobacter. All’ospedale Borgo Trento di Verona, infatti, tre neonati prematuri hanno presentato un risultato anomalo al test per la ricerca del Citrobacter koseri, il batterio che già nel 2020 era stato identificato nella stessa struttura ospedaliera, sempre nel reparto di maternità, e che aveva contagiato un centinaio di soggetti, provocando 4 decessi e una decina di casi di disabilità. A riferirlo è stata l’Azienda ospedaliera universitaria integrata (Aou) veronese che ha precisato tuttavia che un bimbo è già stato dimesso, un altro si è negativizzato e l’ultimo è ancora positivo, ma non riporta sintomi dell’infezione. “Non è attualmente possibile stabilire se il batterio individuato sia dello stesso ceppo di 4 anni fa, in quanto l’indagine genomica predisposta richiede tempi più lunghi”, sottolinea l’Aou in una nota. Ma di che batterio si tratta esattamente?

Cosa sono i citrobacter

I citrobacter sono un genere di batteri appartenenti alla stessa famiglia di salmonella ed escherichia, che si possono trovare ovunque nell’ambiente, negli alimenti e come componente della nostra flora batterica intestinale. Tuttavia, le tre principali specie di citrobacter, ossia C. freundii, C. koseri e C. braakii., possono causare gravi infezioni, soprattutto nelle categorie “fragili”, ossia gli anziani, i neonati (specialmente quelli prematuri) e le persone immunocompromesse. La maggior parte dei contagi, sottolineano dall’Istituto superiore di sanità (Iss), avviene negli ambienti ospedalieri, attraverso alimenti e oggetti contaminati, da persona a persona e da madre a figlio, durante il parto. In ospedale, aggiungono gli esperti, “la trasmissione può avvenire anche tramite contatto con gli operatori sanitari, soprattutto attraverso le mani se non correttamente lavate e disinfettate, oppure contatto indiretto mediante oggetti o superfici contaminati”.

Infezione e sintomi

I citrobacter possono causare infezioni del tratto urinario, delle vie respiratorie, del peritoneo, dell’endocardio, meningite e sepsi. Ed è per questo motivo che la sintomatologia varia in base all’organo/tessuto colpito. Tra i sintomi ci sono gonfiore, arrossamento, dolore e pus, febbre alta, difficoltà respiratorie, tosse, espettorato, polmoniti, problematiche a urinare, dolore nella regione pelvica, malessere generale, brividi, confusione, sepsi e shock settico. Nel caso del Citrobacter koseri, l’infezione può portare a un forma particolarmente grave di meningite neonatale, “generalmente associata ad encefalite necrotizzante e ascessi cerebrali”, spiega l’Iss. Il batterio, si legge in uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases, provoca il decesso di circa un terzo dei bambini con ascessi e la metà subisce danni al sistema nervoso centrale.

Diagnosi e cura

Per rilevare la presenza dei citrobacter si ricorre ad una serie di esami in base alla sede dell’infezione. Si possono quindi eseguire tamponi cutanei, analisi delle urine e del sangue, esame dell’espettorato. Per confermare la diagnosi e identificare il sierogruppo si eseguono successivamente test molecolari e biochimici. “Per la cura delle infezioni da Citrobacter l’antibiotico o la combinazione di antibiotici più appropriati si sceglie sulla base del risultato dell’antibiogramma”, commentano gli esperti. “È importante eseguire l’antibiogramma perché il Citrobacter è resistente alle penicilline e a diverse combinazioni di antibiotici beta-lattamici. Inoltre, vi sono ceppi batterici resistenti a più classi di antibiotici, per i quali l’unico antibiotico efficace è al momento la colistina. La colistina deve essere prescritta dal medico che verifica lo stato generale del paziente e la possibile insorgenza di effetti tossici durante la cura”.

L’epidemia del 2020

Quattro anni fa, come vi abbiamo raccontato, c’è stato un evento epidemico, causato da Citrobacter koseri, nello stesso ospedale, ossia nei reparti di Terapia intensiva neonatale e pediatrica dell’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento. Dai dati, infatti, era emerso che dal 2017 un totale di 91 soggetti erano risultati positivi al batterio, 9 neonati avevano sviluppato una patologia invasiva dovuta al batterio, di cui 4 deceduti e 5 con gravi lesioni cerebrali. Le indagini successive avevano rilevato la contaminazione sui rompigetto di alcuni rubinetti all’interno della Terapia intensiva neonatale e pediatrica e sulle superfici interne ed esterne dei biberon.

Fonte : Wired