Ripensare il registro elettronico

È ripartito il dibattito sull’opportunità di vietare telefonini e social ai ragazzi per guarirli dall’ansia e dalla depressione che sembrano dilagare fra i più giovani. Lo spunto viene dalla proposta di una commissione di esperti che suggerisce al governo francese di adottare una serie di limitazioni tra le quali: niente Internet fino a 13 anni, niente social fino a 15, ma ben 18 anni per usare Instagram e Tik Tok che non sarebbero social “etici”. Non è chiaro come il levare all’improvviso Internet e i social a degli adolescenti che ci vivono immersi da quando avevano 10, a volte addirittura 8 anni, possa aiutarli ad uscire dall’ansia e dalla depressione.

Diversi neuropsichiatri ritengono che questa mossa sarebbe addirittura controproducente sulla salute mentale dei ragazzi. Il punto semmai è intervenire prima, quando sono ancora bambini e crescono iper connessi e iper controllati. Due “iper” da abolire a mio avviso. Si tratta, com’è evidente, di un dibattito fondamentale che andrebbe affrontato senza dividersi in fazioni – pro e contro la tecnologia – ma in un’unica squadra – per i giovani. Intanto qualcosa possiamo cominciare a fare subito. Pensavo per esempio a una innovazione che da poco è entrata nelle nostre vite: il registro elettronico. Introdotto dal governo Monti nel 2012, è ormai adottato in tutte le scuole quale strumento di dialogo fra docenti, studenti e famiglie. In teoria. In pratica è un ulteriore strumento di controllo a distanza dei ragazzi.

Con le notifiche push noi genitori sappiamo in tempo reale se sono andati a scuola o meno, se sono entrati in ritardo, che lezioni hanno fatto e che compiti hanno. È come se fossimo in classe con loro. Questo va bene se hai 10 anni, ma se ne hai 15 vuoi davvero andare a scuola con mamma e papà? Il peggio si raggiunge con i voti alle interrogazioni. A volte il genitore scopre il voto prima ancora del figlio. E spesso partono messaggi di complimenti o di rimprovero mentre questo è ancora a scuola (con il telefonino acceso, ovviamente). Ha senso questo controllo in tempo reale dell’andamento scolastico? Noi non siamo cresciuti così: potevamo raccontare quello che era successo in classe, scegliere se e come farlo, avevamo un’autonomia il cui unico limite erano i colloqui genitori-docenti in cui la verità veniva comunque fuori. Ma eravamo responsabilizzati, un passaggio fondamentale per diventare adulti. Siamo sicuri che portare i genitori in classe sia quello che serve ai nostri figli?

Fonte : Repubblica