Crescono le speranze di tregua tra Israele e Hamas: cosa sappiamo dell’accordo

La diplomazia è al lavoro per raggiungere un accordo tra Israele e Hamas per il rilascio degli ostaggi e per un cessate il fuoco a Gaza. Una tregua che consentirebbe ai palestinesi, sotto le bombe israeliane da quasi sette mesi, un periodo di stasi per consentire l’arrivo degli aiuti umanitari. Sono ore decisive. È attesa la risposta ufficiale di Hamas e per questo aumenta il pressing della diplomazia. 

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha affermato che “l’unica cosa che pone tra il popolo di Gaza e un cessate il fuoco” è Hamas. Parole che il funzionario statunitense a un incontro del World Economic Forum in Arabia Saudita, proprio mentre sono in corso i negoziati per raggiungere una tregua, prima che l’esercito israeliano invada la città di Rafah, dove sono ammassati 1,4 milioni di palestinesi, in stragrande maggioranza sfollati. Blinken ne ha discusso oggi a Riad con l’omologo saudita, Faisal bin Farhan, e ha descritto la proposta israeliana presentata nel fine settimana come “straordinariamente generosa”. Ha anche espresso la speranza che Hamas “prenda la decisione giusta” rapidamente. Anche il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, ha invitato Hamas ad accettare l’accordo per un “cessate il fuoco prolungato di 40 giorni”.

Ma i negoziati proseguono. Il gruppo terroristico palestinese terrà “colloqui a oltranza” con funzionari delle agenzie di sicurezza egiziane sull’ultima proposta israeliana. Secondo fonti egiziane e media israeliani, nella giornata del 30 aprile dovrebbe partire una delegazione dello Stato ebraico alla volta del Cairo per proseguire i negoziati. Secondo fonti citate da Channel 12, riprese da Times of Israele, il governo israeliano avrebbe inserito “drastiche” concessioni nell’offerta ad Hamas, e un accordo potrebbe essere raggiunto velocemente se Hamas rinuncia alla richiesta della fine della guerra e un completo ritiro delle forze israeliane da Gaza. 

Un cessate il fuoco temporaneo comporterebbe il rinvio della temuta operazione di terra dell’esercito israeliano a Rafah, nel sud della Striscia, dove lo Stato ebraico ritiene siano nascosti gli ostaggi e gli ultimi leader dell’organizzazione terroristica, e che intanto continua a colpire con raid aerei: le autorità sanitarie di Hamas hanno denunciato la morte di almeno 26 persone – tra cui un neonato di appena 5 giorni – in un bombardamento notturno sulla città.

I punti dell’accordo per arrivare a una tregua

Ma quali sono i punti in discussione? Con l’ultima proposta Israele sembra fare importanti concessioni, spinta dall’opinione pubblica che chiede la liberazioni degli ostaggi dopo sette mesi di detenzione nelle mani di Hamas e dalle critiche internazionali per la crisi umanitaria che la guerra ha causato a Gaza. Tel Aviv sarebbe disposta ad accettare il rilascio di soli 33 ostaggi (gli unici sui 133 prigionieri che secondo l’intelligence israeliana sarebbero ancora vivi), in cambio del rilascio di “migliaia” di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e di una seconda fase di tregua che preveda un “periodo di calma prolungata”. Formula usata in risposta alla ripetuta richiesta di Hamas di un cessate il fuoco permanente. Inoltre, Israele sarebbe anche disponibile a discutere il ritorno dei palestinesi alle loro case nella metà settentrionale della Striscia di Gaza e il ritiro delle truppe dal corridoio militare che attualmente divide l’enclave in due. 

Blinken ha anche incontrato a Riad il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che vede sempre minacciata la normalizzazione diplomatica con Israele. Washington muove la pedina saudita per arrivare alla creazione di uno Stato palestinese riconosciuto da Israele e disinnescare così la prospettiva sempre più concreta di un conflitto allargato in Medio Oriente. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha portato a Riad la promessa di garanzie di sicurezza all’Arabia Saudita se normalizzerà le relazioni con Israele, con l’obiettivo di convincere lo Stato ebraico ad accettare l’idea di uno Stato palestinese. Idea fortemente osteggiata da Israele. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è uno storico oppositore alla creazione di uno Stato palestinese, che da parte sua l’amministrazione Biden vede come l’unica soluzione a lungo termine del conflitto. 

“Cinque unità dell’esercito israeliano hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani” 

Nel frattempo, c’è una crescente preoccupazione tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che possibili mandati d’arresto emessi dalla Corte penale internazionale nei confronti di funzionari israeliani possano far saltare un delicato equilibro mentre Israele si avvicina a un accordo per la tregua con Hamas.  Secondo quanto riferito ieri dal Times of Israel, che citava fonti del governo israeliano, Tel Aviv sta portando avanti un’azione concertata per sventare temuti piani da parte dell’organismo giuridico internazionale finalizzati a emettere mandati di arresto contro Netanyahu e altri alti esponenti del suo governo. Secondo le fonti, in particolare si temono incriminazione con cui Israele verrebbe accusato di “aver deliberatamente lasciato morire di fame i palestinesi a Gaza”.

Perché Israele e Hamas hanno commesso crimini di guerra (secondo l’Onu)

Non mancano però le condanne da parte di Washington. Cinque unità delle Forze di difesa israeliane si sono rese responsabili di “gravi violazioni dei diritti umani” in incidenti avvenuti fuori dalla Striscia di Gaza prima dell’attacco del 7 ottobre. Lo ha detto parlando con i giornalisti il portavoce del dipartimento di Stato americano, Vedant Patel, secondo cui quattro delle cinque unità hanno effettivamente posto rimedio alle violazioni, mentre Israele ha presentato informazioni aggiuntive riguardo alla quinta e sta continuando i colloqui in proposito con il governo americano. L’annuncio del dipartimento di Stato è arrivato dopo che l’amministrazione Biden ha deciso di mettere in stand by le sanzioni contro Netzah Yehuda accusata di abusi contro i palestinesi in Cisgiordania.

Fonte : Today