Giornata mondiale contro la malaria, a che punto siamo?

La malaria è una malattia raramente eccezionale. Lo è stata di recente, per esempio, negli Stati Uniti, con la notifica di alcuni casi trasmessi localmente, dopo vent’anni. Altrove, lì dove è endemica (in Africa soprattutto, ma anche nel Sud-est asiatico e nell’America centro-meridionale), la malaria non fa notizia, se non per l’arrivo – a lungo sperato – di nuovi armi per combatterla, come i due vaccini approvati dall’Oms. Eppure proprio qui i numeri e la geografia della malattia raccontano di una una situazione di perenne emergenza, per alcuni paesi molto più di altri. A ricordarlo, come ogni anno il 25 aprile, è oggi la ricorrenza del World malaria day, l’occasione per fare un bilancio della lotta alla malaria e per rinnovare l’impegno verso l’eliminazione della malattia.

249 milioni di casi nel mondo

Gli ultimi numeri sull’epidemiologia della malattia sono quelli contenuti nel World malaria report del 2023, che parla di 249 milioni di casi per il 2022, in aumento rispetto all’anno precedente (quando erano 244 milioni, in entrambi i casi si parla di casi stimati), in parte per effetto dell’aumento della popolazione, in parte per incrementi locali dell’incidenza della malattia. Nel complesso la fotografia non è così cambiata rispetto al recentissimo passato: la malaria rimane lì, con un’incidenza globale solo minimamente ridotta negli ultimi dieci anni, così come il tasso di mortalità. Se infatti a partire dagli anni Duemila i decessi per la malaria avevano cominciato a diminuire, con il Covid sono risaliti per poi ricominciare a diminuire, sentenzia il report, e oggi sono 608 mila.

Il peso della malattia nel continente africano

Non cambia neanche la geografia della malattia: la malaria è e rimane un problema soprattutto per il continente africano, visto che ben oltre il 90% dei casi e dei decessi avvengono qui (Nigeria e Repubblica Democratica del Congo sono i paesi in assoluto più colpiti). Ed è proprio riconoscendo, ancora una volta, l’impatto della malattia in questa regione – 233 milioni dei 249 milioni di casi sono qui, così come 580 mila dei 608 mila decessi – che solo lo scorso mese i paesi più colpiti hanno segnato l’avvio di un altro capitolo nella lunghissima lotta alla malaria. Lo hanno fatto firmando la Yaoundé Declaration, una nuova dichiarazione di intenti, sulla base di quanto già fatto in passato, per potenziare i finanziamenti e il controllo della malattia, perché: “nessuno dovrebbe morire di malaria grazie agli strumenti e ai sistemi oggi disponibili”.

La malaria infatti, lo ricordiamo, è una malattia causata dai protozoi del genere Plasmodium, trasmessa dalle zanzare, prevenibile e curabile, purché siano presenti una adeguata rete di servizi di prevenzione e trattamento, in grado di intercettare tempestivamente i casi. Mirano essenzialmente a questo gli impegni presi dagli undici paesi (oltre Nigeria e Repubblica Democratica del Congo, ci sono Burkina Faso, Camerun, Ghana, Mali, Mozambico, Niger, Sudan, Uganda e la Tanzania), per il rafforzamento tanto delle politiche che dell’organizzazione dei servizi sanitari. “Questa dichiarazione segna un’importante pietra miliare nella lotta contro la malaria, non solo per i paesi coinvolti ma per tutto il mondo – ha commentato Michael Charles, a capo RBM Partnership to End Malaria – Se saremo in grado di ridurre significativamente il numero dei casi di malaria e dei decessi in questi paesi ad alto impatto, saremo molto più vicini all’eliminazione di questa malattia a livello globale”.

La sfida alle resistenze e agli insetti invasivi

Gli impegni presi hanno sulla carta il tono tipico delle dichiarazioni di intenti istituzionali, ma la speranza è che si traducano in azioni per portare la regione africana a cambiare direzione nella lotta alla malattia, come dichiarava lo scorso mese il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, in occasione della sottoscrizione della dichiarazione. “A livello globale, il mondo negli ultimi decenni ha compiuto significativi passi in avanti contro la malaria negli ultimi decenni, eppure, dal 2017, questi progressi si sono arrestati. Covid-19 e minacce ben note come la resistenza ai farmaci e agli insetticidi ci hanno portato ancora di più fuori strada, assieme alla cruciale mancanza di finanziamenti e di accesso agli strumenti per prevenire, diagnosticare e curare la malaria. Con la leadership politica, le responsabilità dei paesi e l’impegno di un’ampia coalizione di partner, possiamo cambiare questa storia per le famiglie e le comunità di tutta l’Africa”.

Senza sorpresa considerando l’epidemiologia della malaria, i problemi di resistenza ai farmaci e agli insetticidi si concentrano infatti nel continente africano (e in parte anche nel sudest asiatico): basta navigare la mappa interattiva che riassume le minacce biologiche nella lotta alla malaria per rendersene conto. Oltre a quelle citate preoccupa anche l’avanzata di insetti vettore invasivi. Parliamo in particolare di Anopheles stephensi, una zanzara che può trasmettere il plasmodio ma che a differenza delle altre presenta alcune criticità particolari: come spiega l’Oms, ha elevate capacità di adattamento e può prosperare anche nelle stagioni secche e ad elevate temperature, rappresentando un’ulteriore minaccia alla presenza della malaria in Africa se non controllata.

Fonte : Wired