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Tommaso Fabbri è un operatore umanitario, ex capo missione di Medici Senza Frontiere. È tra le persone che negli ultimi sette anni sono state indagate nella maxi inchiesta sul soccorso in mare, ora archiviata dal giudice di Trapani: ecco la sua testimonianza.
“Salvare vite non è un reato; è un obbligo morale e legale, un atto fondamentale di umanità. Spero che l’esito di questo caso invii un messaggio forte e chiaro a qualsiasi governo: smettete di criminalizzare la solidarietà“. Sono le parole di un operatore umanitario, Tommaso Fabbri, ex capo missione per le operazioni di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere, dopo la chiusura di una delle più grandi inchieste sui soccorsi di migranti in mare che sia mai stata fatta in Italia, che ha coinvolto, oltre a Msf, anche Save The Children e Jugend Rettet, l’Ong tedesca coinvolta nel caso Iuventa. Dopo ben sette anni, il giudice di Trapani ha ufficialmente messo la parola fine al caso: le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nei confronti delle navi umanitarie sono infondate.
Dopo la notizia dell’archiviazione, Fabbri ha ripercorso le tappe del caso.
Ricordo bene quella notte. Eravamo nel mezzo del Mediterraneo. Non si vedeva nulla. Il cielo e il mare formavano un’unica tela nera. E poi, nell’oscurità, li abbiamo visti: circa 100 persone, pericolosamente stipate su un gommone destinato a non più di 20, alcune già cadute in mare e aggrappate ai tubolari. Dietro di loro è comparsa un’altra barca, e poi un’altra ancora. Era il 2016 e facevo parte del team medico-umanitario a bordo di una nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere. Alle 11 del mattino dopo, avevamo soccorso più di 1.100 persone, alcune disidratate, ustionate dal carburante, segnate dalle cicatrici delle torture, ma tutte sollevate per essere state soccorse, per essere vive. Ho capito che ero semplicemente dove dovevo essere.
Anni più tardi, quando lavorava con Msf a un progetto per il trattamento del Covid, ha ricevuto una telefonata dalla polizia: era indagato per avere soccorso delle persone mentre era a bordo della Vos Prudence di Msf. E non era l’unico.
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Non riuscivo a cancellare la preoccupazione per le implicazioni più ampie di questo caso, il potenziale impatto sulle operazioni di ricerca e soccorso e, soprattutto, per le persone che cercano sicurezza rischiando la propria vita in mare. I miei timori non erano infondati. Dal 2017, avevamo notato un netto cambio di approccio da parte delle autorità italiane ed europee riguardo al soccorso in mare. Il governo italiano, esponenti politici di ogni schieramento, rappresentanti istituzionali italiani ed europei avevano iniziato ad accusare le ONG di favorire l’“immigrazione clandestina” attraverso il Mediterraneo.
L’ex capo missione di Msf ha poi sottolineato che ora il caso è stato sì archiviato, ma durante i sette anni che sono trascorsi i governi hanno attuato misure e politiche che andavano proprio nella direzione che lui temeva.
Il governo italiano ha eretto una barriera dopo l’altra all’azione umanitaria, invece di impedire i naufragi e aprire canali legali e sicuri per le persone in fuga attraverso il Mediterraneo. L’imperativo umanitario di salvare vite è stato schiacciato dal tentativo di fermare la migrazione ad ogni costo. Le navi civili devono rientrare a terra dopo ogni imbarcazione soccorsa e il porto assegnato è sempre lontano, il tutto per tenerle lontane dalla zona dei soccorsi. Nel frattempo, soccorritori e Ong continuano a essere ostacolati mentre le navi subiscono fermi arbitrari.
Fabbri ha concluso lanciando un appello agli operatori umanitari, sottolineando la necessità che tutti continuino a svolgere il proprio lavoro, da ovunque sia necessario.
Fonte : Fanpage