Lollobrigida, dal vino al formaggio continua la sag(r)a del “nutrizionista” di Stato

Con la “carne sintetica” – che non è sintetica, ma questa è un’altra storia – il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, era partito davvero molto bene. Partorendo una mostruosità giuridica come poche prima d’ora, vietando ciò che non esiste e fregandosene di ogni regola europea. Poi il cognato d’Italia (è sposato con Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni) si è un po’ perso per la strada delle polemiche quotidiane. Le sue uscite, come l’enciclopedia stilata da Lettera 43 ben racconta, per quanto strampalate hanno in effetti imboccato la strada di quei programmi statunitensi pieni di cose bizzarre di cui certe emittenti tv si sono nutrite per anni. Insomma, con l’ultima dichiarazione sul piatto di formaggio obbligatorio nei ristoranti (poi maldestramente smentita) sparata nel corso di Vinitaly fa più chef Pischetti, il cuoco del cartone Curioso come George, che autarchia alimentare. Lollo, si può dare di più.

Il boomerang sul vino

Fuori dagli scherzi, mentre ci fustiga con sciocchezze prive di fondamento scientifico come le chiacchiere in libertà sull’alcol, che “è oggettivo che non sia un elemento positivo” ma “che le bevande a base di alcol siano dannose è molto soggettivo” – questa ce la facciamo tradurre dall’intelligenza artificiale – il ministero che dirige ha fatto perdere un sacco di soldi alle cantine italiane. Lo ha spiegato Il Riformista rammentando per esempio la vicenda dei fondi, parzialmente non erogati degli Ocm, le organizzazioni comuni dei mercati, o l’altro diktat sui vini dealcolati, quelli con un tasso di alcol non superiore a 0,5% vol. di cui nel corso del Vinitaly si è molto discusso: un italiano su tre vorrebbe provarli, la nicchia cresce all’estero (negli Stati Uniti varrebbe almeno un miliardo di dollari) ma al ministro naturalmente non piacciono: “Da parte mia non ci sarà nessuna incentivazione alla promozione del dealcolato”, ha spiegato al Gambero Rosso.

Peccato che molte aziende vogliano provare ad aprirsi una nuova pista di business e difficilmente chi oggi apprezza un Brunello si tufferebbe fra le bottiglie light: le birre senza alcol, per esempio, esistono da tempo e non hanno di certo spazzato via tutto il resto. Anzi. È che questo governo col concetto di “libera scelta” ha qualche problema, e non solo in ambito enogastronomico. Insomma, se al sommelier di Stato non piace, non si fa. Magari il vino alcohol-free farà anche schifo o finirà per invaderci di terrificanti succhi d’uva italian sounding, ma quanto avremmo bisogno di una cultura di approccio alle bevande alcoliche più ragionata e attenta alle insidie, anche nei confronti dei giovani? Nel 2021 circa 1 milione e 370 mila ragazzi e ragazze di età compresa fra gli 11 e i 25 anni hanno consumato alcol secondo modalità a rischio per la loro salute dice l’Istituto superiore di sanità eppure con Lollobrigida siamo ancora al bicchiere al giorno che toglie il medico di torno.

I pasti dei “poveri”

Dei poveri che “spesso mangiano meglio dei ricchi”, perché si rivolgono direttamente al produttore – le periferie urbane italiane sono notoriamente ricche di coltivazioni bio – avevamo invece già parlato. E lo avevamo fatto sottolineando come il ministro l’estate scorsa avesse dimostrato di ignorare la centralità del reddito nelle scelte alimentari e il grave “food social gap” che sì, certo, gli italiani cercano a volte di riempire comprando l’olio dall’amico con la vigna, ma che su scala globale fa ammalare e mangiare peggio chi non può permettersi le botteghe col bollino di qualche associazione.

Posizione fra l’altro completamente in contrasto con un’uscita più recente del ministro, quella che una settimana fa giustificava proprio il prezzo dell’olio extravergine d’oliva, esploso negli ultimi anni, a un’ipotetica soglia-provocazione di 30 euro al litro. Lo ha fatto, ironia della sorte, alla presentazione della Settimana nazionale della prevenzione oncologica: “Perché uno è convinto che pagare 30 euro per una bottiglia di vino a tavola, che dura un’ora, sia cosa normale, e quando dovesse pagare 30 euro per un litro d’olio lo vede come un furto con scasso? – si era chiesto il cognato di Giorgia Meloni – questo lo ritengo un fatto assurdo, che non è rispettoso del lavoro che c’è dietro“. Spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi. Come no.

Fonte : Wired