Il piano per frenare la fuga di investimenti europei verso gli Usa

L’Unione europea vuole mobilitare più investimenti privati nel blocco, per non dover solo far affidamento su quelli pubblici e per non dover ricorrere più a strumenti come quello del debito comune utilizzato per finanziare il Recovery Fund. La strada che l’Europa vuole percorrere è quella dell’unificazione dei mercati finanziari, un obiettivo a lungo termine a cui si ispira ad arrivare a piccoli passi, e che secondo Bruxelles potrebbe fruttare 470 miliardi in più da utilizzare per investimenti. Al momento il mercato unico non comprende il settore finanziario e questo comporta che ci sono 27 distinti mercati finanziari, con 27 organi supervisori e regole differenti. E questo non aiuta a fare in modo che i risparmi di cittadini e imprese siano indirizzati in fondi di investimento in altri Stati dell’Unione, ed è spesso (paradossalmente) più facile rivolgersi a quelli statunitensi, più redditizi.

Il Consiglio europeo di Bruxelles che ieri (18 aprile) doveva discutere del tema è, come spesso accade quando si toccano temi economici, durato otto ore circa, molte più del previsto, con i leader dei Ventisette incapaci di trovare una linea comune precisa. “C’è stato un dibattito molto lungo perché le posizioni di partenza sono divergenti”, ha ammesso il presidente francese Emmanuel Macron. “Questa nuova cattedrale, l’Unione del Risparmio e degli Investimenti, è la chiave per mobilitare i finanziamenti privati per le nostre priorità. Oggi abbiamo concordato un metodo, dei principi e un calendario, e torneremo sull’argomento a giugno”, ha spiegato.

Se ne parlerà insomma nel Vertice Ue che si svolgerà dopo le elezioni europee, che definiranno il nuovo assetto politico del blocco. Il problema dell’Europa è che le sue start-up non riescono a raccogliere le somme gigantesche dei loro concorrenti negli Stati Uniti, e che hanno permesso la nascita di giganti come Google, Apple, Facebook e tanti altri. Questo perché i centri finanziari statunitensi, più grandi e più redditizi, sono una calamita anche per i risparmi europei.

“Ogni anno più di 300 miliardi di euro lasciano l’Europa per investire negli Stati Uniti perché il mercato europeo è frammentato e non abbastanza attraente”, ha affermato l’ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, che ha presentato un rapporto ai capi di Stato e di governo dell’Ue sulla questione. Ma i soldi sono più che mai necessari nel Vecchio continente visto che, secondo la Commissione, l’Europa dovrà investire più di 620 miliardi di euro all’anno nei prossimi anni solo per intraprendere la sua trasformazione ecologica e digitale.

Per racimolarli l’Europa pensa che se invece che una miriade di mercati finanziari nazionali come adesso, si andasse verso la creazione di un mercato unico anche della finanza, a cui possono avere più facilmente accesso tutti i cittadini dell’Unione, questo mobiliterebbe maggiori capitali che potrebbero poi essere (almeno potenzialmente), investiti nello stesso blocco. Al momento quasi un terzo dei 35mila miliardi di euro di risparmi degli europei è fermo nei conti bancari, rispetto a meno del 15% negli Stati Uniti che finisce in investimenti. La differenza è anche di mentalità, certo, ma il sistema alla base certamente non aiuta.

“La discussione è stata difficile e le conclusioni sono sostanziali”, ha rivendicato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, indicando che la decisione è rafforzare la supervisione europea sui mercati dei capitali, il primo (piccolo) passo verso l’unione. “Daremo mandato alla Commissione di esplorare questo tema. L’idea dell’unione dei capitali c’è da 10 anni ma oggi abbiamo fatto progressi sostanziali”. La presidente della Commissione von der Leyen ha calcolato che un mercato dei capitali europeo effettivamente integrato “potrebbe mettere ogni anno a disposizione delle imprese europee 470 miliardi in più da utilizzare per investimenti”. Una cifra non da poco.

Al Consiglio europeo si sono confrontate le due linee classiche: quella più ‘regolazionista’ che ritiene decisivo seguire il modello della unificazione delle regole e della vigilanza delle banche sotto l’egida della Bce per le banche sistemiche e rilevanti, (dalla Francia all’Italia alla Spagna) e quella che non ritiene necessari strappi regolatori sull’unione del mercato dei capitali. Importante la posizione della Germania, ora spostata più verso l’unificazione della vigilanza nonostante i mal di pancia dei liberali tedeschi. Il premier lussemburghese Luc Frieden ha chiesto un “approccio pragmatico”, mentre l’Irlanda ha affermato che la supervisione centralizzata “non è nell’interesse di tutti gli Stati membri e certamente non dei più piccoli”, secondo le parole del primo ministro Simon Harris.

Si teme che dalla centralizzazione possano avere benefici solo le grandi piazze finanziarie (dei grandi Paesi) e si teme anche di perdere le rendite di posizione dei propri mercati, come nel caso del Lussemburgo. La strada per arrivare a un accordo pare ancora lunga.

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Fonte : Today