“Gli stage a 300 euro al mese da Chiara Ferragni”

Stage da 300 euro al mese per un anno, collaborazioni in Partita Iva ma con vincoli da dipendente nei fatti. Sono le condizioni lavorative che emergono dalla testimonianza di una ex dipendente di Chiara Ferragni, raccolta e diffusa da Selvaggia Lucarelli nel libro “Il vaso di pandoro – Ascesa e caduta dei Ferragnez”. Racconta Giulia (nome di fantasia, ndr): “C’era questo fascino legato alla sua persona perché arrivava roba per lei e magari i dipendenti li pagava poco, però poi arrivavano i regali che lei scartava”. L’incipit della testimonianza di Giulia è piuttosto eloquente e illuminante, soprattutto alla luce dei guadagni da capogiro che la Chiara Ferragni testimonial inizia a macinare sponsorizzando qualsiasi cosa, dagli yogurt ai detersivi, per centinaia di migliaia di euro, dall’arrivo di Fabio Maria Damato – general manager e vero deus ex machina delle aziende dell’universo Ferragni da 600mila euro l’anno più bonus.

I soliti problemi

I dipendenti li pagava poco e quanto poco lo descrive Giulia, che per l’azienda di Ferragni ha lavorato dal 2019 al 2022: entra con uno stage da 300 euro al mese, 8 ore al giorno con eventi ed extra compresi. Di stage però questo anno ha avuto ben poco perché Giulia racconta di non aver mai avuto alcuna formazione, ma ha sempre e solo lavorato. E già qui ci sarebbe molto da dire sull’utilizzo non esattamente consono alle norme di un contratto che avrebbe uno scopo ben preciso. Finito l’anno, però, a Giulia è stata proposta una collaborazione in Partita Iva a 1.500 euro al mese: “Ero giovane e ho pensato che potesse servirmi per il curriculum, il mio lavoro mi piaceva tanto e inoltre con la partita iva potevo lavorare anche per altri, quindi guadagnavo di più”, racconta.

La partita iva, però, stando alla testimonianza, sembrava celare un rapporto dipendente: “Rimango incinta, lavoro fino al termine e loro mi dicono: ‘Non ti preoccupare, tu continua a fatturarci la stessa cifra, se poi ogni tanto c’è bisogno di qualcosa ti scriveremo’. Non si poteva fare, io tra l’altro ero una dipendente a tutti gli effetti, andavo in ferie quando l’ufficio chiudeva, per dire. Per loro era una specie di regalo, però per assumermi non c’era budget”.

Insomma, 1.500 euro al mese in partita iva significa lavorare senza le tipiche tutele da dipendente per circa 1100 euro al mese netti in forfettario, tolte tasse e contributi. Senza tutele, che però TBS Crews ha cercato di assicurare in maternità, per un paio di mesi, facendole passare come regalo. Regalo che, mi permetto di sottolineare, sarebbe costato molto meno di una eventuale causa o conciliazione per rapporto di lavoro non troppo regolare ed eventuale maternità negata completamente.

Ma se le condizioni contrattuali già non brillano, forse ancora peggiore è il clima interno all’azienda: “Fabio dopo che ho partorito inizia a darmi compiti anche al di fuori delle mie mansioni. Si trattava di attività di un’altra società di Chiara, di Fenice, ma l’ho fatto. Questo a due mesi dal parto e lo specifico perché lì dentro c’è tutta questa aura delle donne che lavorano e vanno protette”. Insomma, nonostante il regalo non dovuto della maternità in quanto partita iva (finta), Giulia la maternità riesce a godersela ben poco.

Gli sforzi però valgono una promozione e a tre mesi dal parto le propongono di diventare manager editoriale di TBS. Per 1.600 euro, assunta. Uno stipendio non esattamente da manager, se posso permettermi. Ah, dimenticavo: senza nemmeno rimborsi spese per le trasferte di lavoro, Giulia avrebbe dovuto sobbarcarsele di tasca sua. Titubante chiede tempo per pensarci ma nemmeno 12 ore la proposta viene improvvisamente ritirata e Damato fornisce una spiegazione molto interessante: “C’è la guerra, c’è il covid, fai un lavoro in via di estinzione, hai anche appena partorito. Cosa pensavi di trovare di meglio?”. E Giulia di meglio lo trova, a tre volte lo stipendio proposto da TBS. Damato si farà risentire poco prima di Sanremo chiedendo come stesse il bambino e cose così. Giulia scoprì poi che in azienda si temeva potesse parlare mandando a ramengo la narrazione pro-donne di Ferragni se avesse raccontato com’era stata trattata quando lavorava lì.

A Milano la situazione Ferragni è all’ordine del giorno

Mi stupisco delle condizioni in TBS Crew? Francamente no, a Milano, nel settore della comunicazione e della pubblicità soprattutto, queste condizioni sono all’ordine del giorno. Finte partita iva senza diritti, finti cococo, stage sottopagati. Mi stupirei forse se mi raccontassero il contrario. Certo è che condizioni e stipendi del genere, oltre al clima non esattamente donne e maternità friendly, fanno veramente a pugni con l’immagine da paladina della giustizia e protettrice dei deboli e delle donne che Ferragni si è costruita negli anni. E allora sì, queste due pagine di testimonianza diventano una notizia decisamente notevole. Perché se mediaticamente ti poni come qualcosa di migliore e di diverso e nel reale agisci esattamente come tutti gli altri, allora i tuoi follower meritano di conoscere anche l’altra faccia della medaglia.

Fonte : Today