Morti di infarto e tumore oltre ogni statistica: nell’acqua c’è qualcosa che non va

L’esposizione a livelli tossici di Pfas potrebbe aumentare il rischio di morire per cause oncologiche e cardiovascolari. A dimostrarlo, per la prima volta, è una ricerca italiana, realizzata nei 30 comuni del Veneto coinvolti dalla contaminazione delle falde acquifere con Pfas causata dagli scarichi industriali dello stabilimento della Miteni di Trissino, e venuta alla luce nel 2013. 

Lo studio, realizzato dai ricercatori dell’Università di Padova e dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori, è basato sull’analisi dei certificati di morte dei residenti delle province di Vicenza, Padova e Verona relativi agli anni compresi tra il 1980 e il 2018. Circoscrivendo l’area di esposizione agli Pfas ai comuni della “zona rossa” servita dagli acquedotti coinvolti dalle contaminazioni dell’azienda di Trissino, e considerando il 1985 come data probabile di inizio dell’esposizione alle sostanze, i ricercatori hanno quindi calcolato i tassi di mortalità della popolazione per diverse patologie, e li hanno comparati con quelli attesi nella popolazione generale. 

La mappa delle aree inquinate da Pfas in Veneto. I pannelli di sinistra A e C mostrano le zone in qui la contaminazione è stata individuata nelle acque superficiali, quelli di destra B e D quelle in cui sono risultate inquinate le acque sotterranee

I risultati, pubblicati sulla rivista Environmental Health, hanno evidenziato un eccesso di circa 4mila morti nelle aree contaminate, nell’arco dei 38 anni analizzati, e un aumento dei decessi causati da diverse tipologie di tumori: in particolare carcinomi renali (passati da 16 casi nei primi cinque anni del periodo analizzato a 65 negli ultimi cinque) e tumori dei testicoli. I dati raccolti, per quando piuttosto indicativi a detta degli autori, non permettono però di stabilire un legame statistico solido tra Pfas e mortalità per cause oncologiche. 

Diversa invece la questione per le patologie cardiovascolari. “È la prima volta che qualcuno trova delle evidenze forti di un’associazione tra esposizione ai Pfas e mortalità cardiovascolare”, spiega Annibale Biggeri, ricercatore dell’Università di Padova e primo autore dello studio. In parte, gli Biggeri e colleghi ritengono che la mortalità cardiovascolare osservata nel periodo in esame potrebbe essere legata agli effetti psicologici (per molti, paragonabili ad una sindrome grave come il disturbo da stress post traumatico) della catastrofe ambientale vissuta dai resistenti dell’area a partire dal 2013. 

Dai Pfas al muro di colesterolo nel sangue

Ma per la maggior parte, le morti per cause cardiache sono probabilmente legate all’aumento del colesterolo nell’organismo causato dall’esposizione agli Pfas, un pericolo difficile da affrontare senza conoscerne precisamente la causa, perché non si può risolvere con modifiche all’alimentazione o agli stili di vita, ma solo evitando il contatto costante con queste sostanze chimiche. I rischi inoltre sono risultati proporzionali alla durata dell’esposizione, e ridotti in caso di donne che sperimentano molteplici gravidanze, un particolare che può essere legato al fatto che gli Pfas si accumulano nella placenta e vengono trasmessi al nascituro, riducendo i livelli accumulati nell’organismo materno. 

Molti indizi, insomma, sembrano indicare che l’esposizione a livelli pericolosi di Pfas può rappresentare un fattore di rischio diretto per patologie oncologiche e cardiovascolari. Lo studio non può dimostrare un legame causale, ma i risultati si sommano a quelli di molte altre ricerche degli ultimi anni, e alla recente decisione dell’Iarc di inserire una di queste sostanze, il Pfoa, nella lista dei cancerogeni certi, e un’altra, il Pfos, tra quelli possibili. A detta degli autori del nuovo studio, questo dovrebbe bastare per valutare un’immediata messa al bando della produzione di Pfas, e di attività di bonifica nelle aree contaminate come quelle del Veneto. 

Le città dove si beve acqua contaminata: quasi 4mila morti

Fonte : Today