La grande riforma che serve alla scuola

Carlo Petrini, l’unico italiano ad essere scelto dalla rivista Time quale “eroe d’Europa”, l’uomo che nel 1986 fondò Slow Food per ribellarsi all’apertura di un fast food nel centro di Roma e che ha creato un movimento internazionale per un cibo “buono, sano e giusto”, ha appena lanciato un appello per introdurre l’educazione alimentare nelle scuole.

Punta a raggiungere un milione di firme per convincere il ministro Valditara e per quello che vale io ci metto volentieri la mia, di firma. Parlare di cibo ai nostri studenti non vuol dire soltanto aiutarli a tenersi alla larga dai due eccessi dell’obesità e dell’anoressia che in adolescenza sono frequenti, ma anche spiegare loro come funziona il mondo, quali sono i meccanismi economici che stanno dietro quello che mangiamo, compresi lo sfruttamento e le ingiustizie; e quali sono stati i progressi tecnologici che ci hanno portato fin qui, fino al paradosso di avere una parte del pianeta che il cibo letteralmente lo butta e un’altra che muore di fame. Sarebbe bello che di queste cose se ne parlasse a scuola. Del resto ogni volta che ci accorgiamo che c’è un grande tema da capire, chiediamo che se ne occupi la scuola: e così in questi anni, gli studenti hanno avuto anche lezioni di educazione civica, per esempio sulla Costituzione; di educazione alla sostenibilità, parlando di cambiamento climatico ed energie rinnovabili; di educazione finanziaria, per capire come funzionano i soldi; di digitale, per scoprire i meccanismi dei social; e infine, in qualche caso, di educazione sessuale, evocata ogni volta che uno stupro o un femminicidio ci ricordano che siamo ancora una società patriarcale.

Questa visione della scuola aperta, trasversale, contemporanea si scontra con pratica quotidiana di una scuola dove l’unica cosa che conta sono i programmi ministeriali (che non esistono più), una scuola fatta a compartimenti stagni, con ogni materia separata dalle altre, una scuola in cui la didattica e l’apprendimento passano esclusivamente attraverso la lettura di un testo sebbene le nuove generazioni siano cresciute con i video. Servirebbe una grande riforma che partisse dai bisogni degli studenti mentre in questi anni ci siamo limitati a mettere e togliere i voti ai bambini o le materie d’esame ai ragazzi. Sembriamo aver dimenticato che “educare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco”. Anche parlando di cibo.

Fonte : Repubblica