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La consulenza psicologica depositata dalla difesa di Alessandro Impagnatiello evidenzia un “disturbo ossessivo e paranoico” determinato da un “forte narcisismo”, parlando di “black out” al momento del delitto della compagna incinta Giulia Tramontano.
Alessandro Impagnatiello
Il femminicidio, cioè l’uccisione di una donna che fonda sul bisogno di potere e di annientamento di quella donna in quanto tale, è definito come “la forma estrema della violenza contro le donne […] attraverso varie condotte quali i maltrattamenti, la violenza fisica, psicologica […] che ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione della donna stessa” (Marcela Lagarde, 2004).
Il femminicidio pertanto, per sua stessa definizione, non si configura come un evento improvviso, d’impeto, commesso in preda ad un raptus, ma costituisce l’ultimo atto all’interno del ciclo della violenza. Ciclo della violenza all’interno del quale è possibile ricostruire quelle che sono state le dinamiche specifiche della relazione maltrattante, dove la violenza si manifesta in varie forme, ripetutamente e progressivamente acuisce, con lo scopo ultimo dell’annientamento dell’altra.
Di questa violenza reiterata nel tempo, all’interno delle dinamiche di relazione tra Giulia Tramontano e Impagnatiello, ne hanno parlato in aula, nel corso delle udienze, Chiara, la sorella di Giulia ed altre persone a lei vicine.
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Lui la derideva, la faceva sentire sbagliata “non di rado faceva battute e scherniva Napoli”, in una relazione che da subito appare complicata, con la scelta forse troppo affrettata della convivenza in una dinamica che poi si contraddistingue per le numerose assenze di Impagnatiello, fino ad arrivare alla prima scoperta di un tradimento che Giulia fa attraverso la localizzazione degli auricolari in uso al suo partner.
Giulia si accorge che l’uomo compie una pausa “strana” di ritorno dal lavoro, glielo fa presente, è probabilmente confusa, arrabbiata e delusa, ma lui si giustifica dicendole che si era fermato in quel posto per comperarle un anello.
Lei ci crede.
La menzogna, la manipolazione, agite dall’uomo che Giulia amava e con il quale stava progettando un futuro.
Presto scopre di essere incinta, Impagnatiello in un primo momento le dice che avrebbe voluto che abortisse, poi a fronte della disapprovazione delle famiglie a questa sua reazione, dice che ha cambiato idea.
Giulia quel bambino lo vuole tenere, ma è fortemente condizionata dal suo partner. In uno degli ultimi messaggi che gli manda scrive “Non mi sembra normale far arrivare una persona a questo limite. Sempre tutto un’eterna lotta, io non voglio più combattere e vivere una vita insoddisfatta accanto alla persona sbagliata”
Poi ancora la scoperta di un altro tradimento, Giulia è determinata a voler interrompere la relazione, crescerà il bambino da sola con il supporto della sua famiglia di origine. Vuole emanciparsi da quella relazione che l’ha psicologicamente annientata, ma come tutte le donne che si trovano in una dinamica maltrattante è confusa, tanto da credergli ancora quando le dice di essersi inventato il tradimento e le chiede di andare insieme ad Ibiza, per reinvestire in quel rapporto da cui sta nascendo un bambino.
In questa altalena di emozioni, caratterizzata dalle mistificazioni e manipolazioni di Impagnatiello Giulia, come riferisce Chiara in aula, era arrivata a pensare di essere pazza, “che fosse lei il problema”. Una percezione del sé completamente distorta dalla violenza subita che l’aveva portata ad assumere il punto di vista del suo maltrattante, percependosi quindi in termini negativi e di incapacità.
Quell’uomo, padre del figlio che portava in grembo, che negli ultimi messaggi le scrive “ma che madre sei?” mentre la avvelenava.
Nel frattempo Impagnatiello la descriverebbe come una pazza anche agli altri, una bipolare rimasta incinta di non si sa chi, dopo un rapporto occasionale, alla quale lui resta accanto per evitare che si faccia del male. Di questa campagna diffamatoria, posta in essere ai danni di Giulia, ne parla A., l’altra ragazza che frequentava Impagnatiello.
Lo scopo è sempre il medesimo, distruggerla.
Inoltre, dall’attività di indagine emergerebbe che Impagnatiello già nel mese di dicembre 2022 aveva fatto delle ricerche in internet su “come avvelenare un feto”, “quanto veleno per topi è necessario per uccidere una persona”, “come uccidere una donna incinta con il veleno”.
Ricerche a cui sarebbero corrisposte azioni lesive ai danni di Giulia e del bambino, come confermato dagli esiti dell’autopsia che ha rivelato la presenza di bromadiolone (un veleno per topi), nel sangue e nei capelli di Giulia, ma anche in quelli del feto. Una somministrazione che sarebbe stata incrementate nell’ultimo mese e mezzo.
Nel frattempo, in quei mesi Giulia si lamentava con la mamma per i fortissimi bruciori di stomaco, per l’acqua che odorava di candeggina e aveva scritto ad un’amica di sentirsi “drogata”.
Impagnatiello, la sera dell’omicidio, poche ore prima di incontrare Giulia a casa, avrebbe cercato “ceramica bruciata vasca da bagno”. Oggi sappiamo, dalla ricostruzione della dinamica omicidiaria che dopo averla uccisa ha tentato di bruciarne il corpo nella vasca.
Dalla mattina del 31 maggio, qualche giorno dopo l’omicidio, le ricerche si concentrano invece sull’eliminazione delle tracce: “rimuovere tracce di sangue, rimuovere tracce di candeggina”.
Quelle dei giorni successivi invece sembrano avere lo scopo di monitorare la situazione. Impagnatiello infatti cerca notizie su Giulia Tramontano, su una ragazza “ritrovata dopo 23 anni” e su “Alberto Stasi Bollate”, il ragazzo in carcere per il femminicidio della sua fidanzata Chiara Poggi.
Una serie di elementi questi, indicativi di un comportamento, quello di Impagnatiello, lucido e ben orientato, non solo nel corso delle fasi dell’omicidio, ma anche in quelle che lo hanno preceduto, i cui agiti potevano avere lo scopo di procurare a Giulia una morte per dissanguamento che sarebbe quindi apparsa come una tragica casualità e in quelle successive al femminicidio, che sono servite ad eliminare le prove che potevano ricondurre ad una sua responsabilità.
Una valutazione supplettiva della capacità di intendere e di volere, basata sugli elementi acquisiti in corso di indagine, che mal si concilierebbe con l’ipotesi di un improvviso raptus, o balck out, ma piuttosto come una decisione di uccidere maturata progressivamente nel tempo fino a stabilizzarsi e permanere per un adeguato lasso di tempo, fino al raggiungimento dello scopo finale.
Fonte : Fanpage