C’è un solo modo per affrontare il 25 aprile nell’Italia meloniana

Sempre questione di scelte. Si può decidere di festeggiare il 25 aprile facendo l’analisi (spesso tocca partire dall’analisi logica) delle “opinioni” sull’antifascismo di Meloni, Gasparri, Lollobrigida e compagnia cantante, tra strani equilibrismi dialettici dal sapore missino e interpretazioni al limite del TSO del termine “antifascismo”. 

Oppure si può fare un’altra cosa, molto semplice. Andare fisicamente al corteo o alla commemorazione nella propria città, grande o piccola che sia. Esserci. E poi, tornati a casa, farsi travolgere dalla forza delle parole vive, brucianti, limpide di coloro che, 79 anni fa, di fronte alla morte, non recitarono la parte dell’eroe e fecero presente la pacata esigenza di una coscienza morale, la certezza di aver fatto il proprio dovere: il modo migliore per avvicinarsi alla Resistenza nel 2024. Forse il più sano.

Cinquant’anni fa il Comune di Torino regalava agli studenti di terza media, che terminavano la scuola dell’obbligo, una copia (una pregevolissima edizione Einaudi) delle “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”. Condannati spesso giovani, giovanissimi, che andavano incontro alla morte nella primavera del 1945. Per decenni i partigiani sono andati in tutta Italia a parlare con gli studenti, portando le loro testimonianze. Nel 2024 chi c’è ancora è molto anziano, tanti altri se ne sono andati, quindi anche il loro ruolo in occasione del 25 aprile sta scomparendo.

Restano, però, tutte le lettere dei partigiani, scritte in molti casi poche ore prima di essere fucilati o impiccati. Sono consultabili liberamente, online. 

“Quando sarai grande capirai meglio, ti chiedo una cosa sola: studia”. Paola Garelli lo scrive in una lettera alla figlia, poco prima di essere fucilata da un plotone fascista a Savona. Aveva 28 anni.

“Amate lo studio e il lavoro, una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici. Una vita in schiavitù è meglio non viverla”, scrive ai figli Pietro Benedetti poco prima di essere fucilato al Forte di Bravetta, a Roma. Aveva 41 anni.

“Tuo figlio è innocente, accusato di terrorismo, sabotatore, e invece non era che un semplice socialista che ha dato la vita per la causa degli operai tutti. Non piangete per me perché nemmeno io piango e vado incontro alla morte con una risolutezza che non mi sarei mai creduto”: lo scrive alla madre Quinto Bevilacqua, fucilato a Torino. Aveva 27 anni.

“Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella.  Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà”. Giordano Cavestro aveva solo 18 anni, venne fucilato a Bardi (Parma).

Una pagnotta viene ritrovata nella cella di Ignazio Vian, e poi avventurosamente consegnata dai compagni di prigionia alla famiglia. Vi ha scritto sopra “Coraggio mamma”. Con il sangue sul muro della cella ha scritto “Meglio morire che tradire”. Impiccato a Torino, aveva 27 anni.

Centinaia di lettere. La commozione stringe la gola quasi a ogni frase. I contrasti e gli scontri fanno parte della vita democratica e sono essenziali per un dibattito pubblico vero. Ma queste “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana” sono scolpite nelle fondamenta della Costituzione e della Repubblica italiana. Che vi piacciano o meno, fortunatamente, non conta assolutamente niente. E chi parla di “insopportabile retorica”, lo vada a dire sulle tombe di chi, spesso poco più che ragazzino, pagò con la vita la ribellione a quella dittatura che aveva portato l’Italia nel precipizio.

Giovanissimi, molti senza studi approfonditi o dottrine risolte logicamente, con esperienze politiche brevissime, che avevano scoperto intorno a loro valori nei quali credere con tutte le forze. Sarebbe stato normale essere assaliti dai dubbi, ma a nessuno accadde. La paura, quella sì, trabocca da ogni pagina, così come la dignità. Una maturità miracolosa. Ormai il loro compito era finito. Toccò poi ad altri rifare l’Italia. Partigiani. Scelte. Buona Liberazione.

Fonte : Today