Vi porto dentro la guerra dei droni: “Così usiamo gli Starlink di Elon Musk per fermare Putin”

L’uomo seduto davanti ai due monitor chiede all’operatore drone di ingrandire con lo zoom un abitato: è il villaggio di Pervomaiske. Situato alla periferia di Donetsk. I russi lo hanno da poco conquistato. Non è rimasta una casa in piedi. L’operatore restringe ancora di più il campo sul cortile di una abitazione. Ci sono tre loro soldati morti. Sembrano burattini gettati sul terreno insieme a detriti e immondizia. Il drone si sposta leggermente oltre un capanno con il tetto di Eternit. La camera del drone ingrandisce ancora. Un quarto soldato russo, il volto deformato in un ghigno di dolore, è steso in un prato. Il Kalashnikov accanto.

Gli operatori dei droni al lavoro su Pervomaiske-2

“Questi sono stati eliminati qualche giorno fa. Ogni giorno tentano di infiltrarsi nella zona grigia, la terra di nessuno tra le nostre linee e quelle loro”. Chi parla è un tenente maggiore dell’esercito ucraino. Il suo nome è George e comanda una unità della 59esima brigata. È la guerra aerea dei droni, questa, ed è una gara a chi per primo fa calare dall’alto la morte sul campo di battaglia.

Nella mitologia slava Baba Jaga è una vecchia strega malvagia dotata di poteri magici. Qui, nella realtà tragica di questa guerra, Baba Jaga è un grosso drone, che può portare multiple munizioni, guidato attraverso un sistema satellitare Starlink. I russi l’hanno chiamato cosi, come la strega, dandogli il nome di una malefico e dispettoso essere dotato di poteri magici. Appare di notte, nel buio, seminando il terrore tra le truppe di Mosca. “Ci servono persone preparate e certificate per pilotare questo tipo di apparecchi. Non sono cose che possono essere prese in mano da principianti. E soprattutto ho bisogno di persone motivate. Non tutti andrebbero correndo verso il fronte su un mezzo carico di oltre duecento chilogrammi di esplosivo”. Insieme a George operano un gruppo di ingegneri, infornatici e piloti. E c’è anche un gatto nel team, ‘Mavic’, nato in una trincea.

Baba Jaga

Apparecchi creati per uso agricolo che ora si trasformano in macchine di morte. I droni vengono modificati con antenne più potenti. Il pilota rimane a distanza mentre il gruppo di assemblaggio deve andare sulle posizioni a pochi chilometri di distanza dai russi. Sostituiscono i mortai, arrivando a colpire con precisione a dieci, quindici chilometri oltre le linee nemiche. Anche i russi hanno droni di diverso tipo. Sul monitor appare la visuale in soggettiva di un drone fpv, apparecchi kamikaze che portano una carica esplosiva direttamente contro il nemico, in genere blindati ma anche posizioni e singoli soldati. C’è scritto ‘Sudny Den’ sul monitor.

“Non è nostro questo, è russo. Significa ‘Giorno del giudizio’ e sono i nostri diretti rivali in quest’area di combattimento. Abbiamo intercettato la comunicazione tra il drone e il pilota e vediamo quello che loro vedono. Ora proviamo a neutralizzarlo con le contromisure elettroniche. I russi hanno cambiato tattica sul terreno: avanzano in piccoli gruppi di due, tre uomini e poi si nascono negli edifici in rovina o sotto i veicoli distrutti. Quando arrivano ad essere sessanta, settanta uomini, si raggruppano e cercano di attaccare le nostre posizioni”. Un drone ucraino ne ha individuati due: corrono in mezzo a una boscaglia. Sanno di essere ripresi. Uno tenta di nascondersi girando più volte intorno a un gruppo di alberi. Verranno uccisi.

Ci spostiamo in una località sulla prima linea del fuoco, vicino Ocheretyne. Qui opera la 47a Brigata meccanizzata. Vanno spente le geolocalizzazioni, i giubbotti antiproiettile e gli elmetti indossati, la macchina parcheggiata sotto la vegetazione. Gli scambi dei colpi di artiglieria sono continui. Quella dei russi è molto vicina. I fischi dei proiettili passano sopra le nostre teste schiantandosi poco vicino. Ci si deve muovere veloci, lungo la strada. I droni da ricognizione russi volano ovunque. Dentro un bunker, un gruppo di uomini sta lavorando davanti a monitor e computer. Olexander Shyrshyn, 29 anni, vicecomandante di compagnia, sta dirigendo le operazioni dando ordini via radio. Devono fermare l’avanzata russa nel loro settore.

“Putin può dare tutti gli ordini che vuole. Lo ha già fatto in precedenza, voleva prendere Bakhmut entro il 9 maggio e non ci è riuscito. Per quasi undici mesi sono stati bloccati. Anche quest’anno la sua parata militare a Mosca non avverrà con una conquista simbolica. Certo la situazione adesso è difficile, possiamo tranquillamente dire che è critica, ma allo stesso tempo è controllabile. Ogni giorno eliminiamo un ingente numero di veicoli e soldati russi. Ma ne hanno una disponibilità enorme e con questo dobbiamo farci i conti. Non gli interessa nulla di quante risorse perdono, gli interessa solo il territorio, anche se sopra non è rimasto più nulla” spiegano.

“Sono nove mesi che li teniamo inchiodati qui. Ne abbiamo già messi sottoterra decine di migliaia”

“Possibile che riescano ad avanzare, ma io come militare non posso fare affidamento sulle possibilità, io combatto. Sono nove mesi che li teniamo inchiodati qui. Quanti ne abbiamo già messi sottoterra? Decine di migliaia. Io sono qui per impedire i loro piani e le parole che vengono detto fuori dal campo di battaglia mi interessano poco. I nostri partner occidentali devono capire una cosa: siamo contenti dello sblocco degli aiuti militari americani, ma se non ci aiutano con costanza si apre per loro una strada molto tortuosa, perché Putin non si fermerà”.

Ci spostiamo di nuovo, in macchina, verso un magazzino. Ci attende ‘Kubik’. Comandante di un Bradley, i veicoli corazzati americani da fanteria. Ha solo 25 anni ma ha acquisito una grande esperienza partecipando alla difesa di Avdiivka. Adesso il suo reparto si trova nell’area del villaggio di Ocheretyne.  “Questo mezzo è capace di resistere a un colpo da 155 millimetri, e, cosa più importante, riesce a salvare l’equipaggio al suo interno. Nessun altro mezzo di produzione sovietica è in grado di farlo. È formidabile. La nostra missione principale in questi giorni, è andare a riprendere in prima linea i nostri commilitoni sotto i colpi dell’artiglieria nemica. Lo abbiamo fatto più volte”.

Mentre scriviamo i russi sono entrati nel villaggio di Ocheretyne e si combatte casa per casa. Kubik, insieme a Mykola e Vitaly, il suo equipaggio, sono già tornati in missione, questa volta per contrastare direttamente l’avanzata delle truppe russe.

Fonte : Today