Perché abbiamo già tradito il 25 aprile

“Ci salvarono gli americani, che con gli stessi aerei con cui avevano bombardato, irrorano tutto l’Agro Pontino e anche la piana di Fondi con il Ddt. Una mano santa il Ddt, dia retta a me. E ci portarono anche la penicillina, non lo stia a scordare. Certo, anche la libertà e la democrazia, chi le dice niente? Noi li ringraziamo anche per questo ma – se permette – almeno noi tanta libertà e democrazia non le avevamo mai viste neanche prima del fascismo”. Sono alcune tra le righe conclusive di ‘Canale Mussolini’ di Antonio Pennacchi. Nel romanzo viene raccontata l’epopea della famiglia Peruzzi, mezzadri veneti trapiantati nell’agro pontino in seguito alle bonifiche promosse dal regime. I protagonisti sono convinti sostenitori del fascismo, e il racconto è una testimonianza coraggiosa non solo di come la politica mussoliniana riuscì a fare breccia all’interno di alcune classi popolari, ma anche di come sia impossibile comprendere appieno una dittatura lunga 20 anni senza aver presente ciò che ne ha costituito (in parte) la premessa.

Così il fascismo sfruttò le contraddizioni del mondo che lo precedeva 

Nell’Italia che ha preceduto il fascismo le classi popolari divenivano essenziali quando c’era bisogno di qualcuno andasse ad assaltare le trincee nemiche e costituivano una rogna quando chiedevano pane o terra. La distanza tra governanti e governati era abissale e l’Italia rimaneva in larga parte un paese di agricoltori poveri e vessati, dove non si era sviluppata né una borghesia moderna, né una classe operaia numerosa.  

La “lezione” a un senzatetto preso a calci e pugni sotto i miei occhi

Il fascismo si innesta in questa contraddizione e la strumentalizza a suo vantaggio, capitalizzando la “grande paura” per l’avvento di una rivoluzione in stile sovietico. Una volta al potere cerca di fare quello che la classe dirigente che l’aveva preceduta aveva spesso trascurato: cercare il consenso pubblico (anche) con iniziative sociali. Si tratta di politiche in gran parte corporative, clientelari, militaresche, populiste e (non di rado) criminali in cui il popolo può solo applaudire e restare al proprio posto, aspettando pazientemente di trasformarsi, ancora una volta, in carne da cannone. Ma è comunque una cesura con molto di quello che c’era prima. 

La vera emergenza che la politica fa finta di non vedere

Con queste premesse la conclusione di molti antifascisti fu una: la nuova Italia doveva nascere con altre basi per non permettere che tutto questo accadesse di nuovo. Il presupposto è che la democrazia potesse funzionare solo se tutti fossero messi in condizione di vivere una vita dignitosa e partecipare alla vita pubblica. Non è un caso che, anche un antifascista di area liberale come Gobetti, deve parlare di “rivoluzione” per marcare la distanza che deve esistere con l’Italia pre-fascista.

Diritti sociali e realtà: cosa rimane della nostra Costituzione?

E qui veniamo alla nostra Costituzione, concepita in un’Italia ancora macchiata dal sangue di migliaia di uomini e donne. Nelle prime righe leggiamo che l'”Italia è una repubblica fondata sul lavoro” e che quest’ultimo è funzionale “al progresso materiale e spirituale della società”. E troviamo che libertà e uguaglianza possono essere ottenuti solo rimuovendo “gli ostacoli  di ordine economico e sociale che impediscono lo sviluppo della persona umana e la piena partecipazione”. È una rottura senza precedenti con tutto il mondo che precede la nascita della nostra Repubblica. Ma, cosa rimane oggi di questi principi?

Il lavoro c’è, ma è povero: i dati che smentiscono il governo

Viene da sorridere amaramente, ad esempio, leggendo l’articolo 36 in cui si afferma che ogni lavoratore ha diritto a una “retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Nell’Italia delle retribuzioni da fame, dei subappalti e delle morti bianche, il lavoro si è trasformato da diritto a ricatto e spesso non è sufficiente neppure per condurre una vita degna. Poche righe dopo, nell’articolo 37, si sancisce invece che le “donne hanno diritto alla stessa retribuzione degli uomini”: una norma che viene disattesa quotidianamente dalla pratica.

Ma è tutta la parte “sociale” a rimanere solo sulla carta: abbiamo davvero il coraggio di affermare che lo Stato riesce a sostenere e assistere “ogni cittadino inabile al lavoro”, guardando gli importi ridicoli delle pensioni minime o degli assegni di inclusione? 

“Noi italiani finiti in strada dopo una vita di lavoro: così col governo Meloni siamo diventati più poveri”

E che rimane dell’articolo 32 che recita: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” nell’Italia della Sanità al collasso e nell’Italia delle liste bloccate e infinite?  E cosa dire, infine, del diritto all’abitazione richiamato da molte sentenze della Consulta o di quello a ricevere un istruzione degna in un Paese che vede il record di dispersione scolastica specialmente tra le classi più povere? 

La mappa del neofascismo in Italia: così si preparano allo scontro

La nostra Costituzione, nata “sulle montagne, nelle carceri e nei campi”, come affermò Pietro Calamandrei, è il frutto del compromesso di mondi politici molto distanti e del sacrificio di tanti. La sua lezione è una: non esiste libertà senza giustizia sociale, non esiste giustizia sociale senza libertà. Far sì che questa semplice evidenza non cada nel dimenticatoio della storia e che non ci esponga a nuovi drammi sta a tutti noi. Buon 25 aprile. 

Fonte : Today