U2: leggi l’intervista esclusiva alla band sul backstage dei concerti a Las Vegas

Gli U2 
The Edge: 
DJ Pauli: 
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Adam Clayton: 
Gavin Friday: 
Bono: 
Bono: 
Bono: 
Gavin Friday: “Penso che sia stato David Bowie, probabilmente. Siamo andati a vedere Bowie nel 1976 e c’erano tre atti”.

Bono: “Hai ragione. Inoltre, i nostri spettacoli dal vivo sono quasi come dei film, come se ogni canzone fosse come una scena. E spesso la canzone lancia una domanda all’ascoltatore e a noi mentre la eseguiamo. E poi la canzone che segue prende quella domanda e risponde o ne pone un’altra. Quindi, mentre stiamo mettendo insieme il set, è quasi come se iniziassi a capire che c’è una linea guida, un flusso da una canzone a quella successiva. E come dice Adam, ottieni uno slancio, ottieni un sentimento e un’emozione”.

Gavin Friday: “Ma si ottiene sempre con un inizio, una parte centrale e una fine”.

Bono: “In un certo senso sappiamo istintivamente quando funziona, ma c’è sempre un’enorme quantità di mistero, anche con tutti quei tipi di struttura che questo live comporta. Il motivo per cui certe cose si scontrano e creano emozione è ancora misterioso…”.

Gavin Friday: “Questa è la magia della squadra, con Willie e Joe e tutte queste persone, un gruppo che lavora insieme da 40 anni o più. È come se non l’avessimo mai fatto prima, ma sapessimo esattamente cosa fare”.

Bono: “O’Herlihy ha fatto una cosa straordinaria coinvolgendo Steve Lillywhite e Jacknife Lee. Perchè stavamo testando non solo la nuova tecnologia dell’edificio, ma anche del suono, del sistema audio e degli arrangiamenti. Quindi era davvero importante avere intorno persone molto musicali e intelligenti, è stato davvero utile. Una cosa che ho notato, lo dico mentre ci penso, non sto scherzando. In più in questi spettacoli non sono critico con la società, perché la politica del mondo esterno, per quanto orribile sia attualmente, non ha spazio nello show. Perché ‘Achtung Baby’ è un album così intenso che consuma tutto. È una cosa strana. È quasi come se non ci fosse più spazio. È come se ‘Acrobat’ suonasse come ‘Bullet the Blue Sky’. Questi sono dialoghi molto interiori, spesso alcuni di essi sono monologhi. E quindi non c’è molto da predicare. Non c’è polemica perché semplicemente non c’è spazio”.

Gavin Friday: “Sono totalmente con te. Ma politicamente, le immagini e il resto, sono una sorta di omaggio poetico alla fragilità della Terra. Questo è il messaggio con cui esci da qui. Ed è così politico senza nemmeno esserlo. Sono quegli uccelli: guarda, potrebbero morire o moriranno… è proprio questo. È davvero straordinario”.

Bono: “È come salire sul ring con, tipo, Mike Tyson – che tra l’altro proprio dietro l’angolo ha girato la scena in cui fa air drumming di Phil Collins – ecco, è come essere sul ring con Mike Tyson. Vieni sbattuto qua e là, poi ti rialzi e sei pronto a vedere il mondo. Ed è una cosa strana. E lo sento anch’io, a volte. Quando inizia ‘Where The Streets Have No Name’, o con l’Arca del Nevada di Devlin, la Flag of Surrender di John Gerrard. Ed è vero. Non ho bisogno di polemizzare perché la poesia è nelle immagini. Grazie Gavin, mi hai aiutato. Possiamo tornare indietro e fare altri 40 spettacoli? Ora che ho capito”!

Gavin Friday: “Ma faresti altri 40 spettacoli? Voglio dire, probabilmente ne costruiranno uno anche in altre città”.

The Edge: “Chi lo sa? Ma penso che abbiamo anche imparato qualcosa di nuovo, a guardare il fare critiche anche come aspetto negativo. È come uno scontrarsi di petto. È solo un polemizzare. Magari non è molto interessante. Quindi in realtà, invece di combattere l’oscurità, forse stiamo rendendo la luce più brillante. Penso che sia ciò che i nostri collaboratori Devlin, John Gerrard e Marco Brambilla hanno fatto così bene. È solo una sorta di mettere i riflettori su ciò che abbiamo. È così unico, così bello e così fragile. Non devi parlare di emissioni di carbonio, cambiamento climatico o altro. Mostri semplicemente ciò che rende unico il nostro ecosistema, il che è fenomenale”.

DJ Pauli: “Avete menzionato il sentirsi come in una chiesa e l’essere in chiesa. Sembra spirituale lì dentro, le persone se ne vanno con la sensazione di essere state ispirate. È un qualcisa d intenzionale”?

Bono: “Tutto inizia nella Caverna, la Caverna di Platone, da dove tutti arriviamo. Il cantante cammina senza indossare niente, no? E, per quanto mi riguarda, io mi nascondo dietro gli occhiali. Lì non ho gli occhiali. Canto un Sean-nós, il che è una contraddizione in termini, perché il Sean-nós in Irlanda è un canto senza accompagnamento. È una melodia antica. Non so da dove venga, ma è irlandese. Poi entri in questa mega-chiesa di Elvis – anzi: prima sei in un club di Berlino negli anni ’90. Poi è come essere in una mega-chiesa di Elvis, e poi tutto questo diventa una sorta di cattedrale del mondo naturale e del soprannaturale. A volte ti poni la domanda: questa luce è reale o artificiale? E la risposta è entrambe le cose. Si sa, tutti i musicisti conoscono la sensazione di sapere cos’è ciò che tutti state aspettando. Quincy Jones una volta disse che aspettiamo che Dio entri nella stanza, ma Dio si prende il suo tempo. È una citazione di Quincy Jones. Quindi non sai quando entra. Ma adoro la luce digitale. Qui serve come una sorta di acme per le persone. Ci sono molte persone là fuori che sono state ferite nella loro fede, vittime di bullismo da parte della loro fede, della religione. E anche se alcuni di noi qui hanno una fede profonda, non siamo molto religiosi. Ma, sai, Dio sceglierà sempre il momento più inaspettato e il luogo più inaspettato per incontrarti. La gente dice: vado a Las Vegas, mi allontano da Dio e non penso a niente. E invece…”.

Adam Clayton: “Ma è anche il potere della comunità. Sai, penso che sia questo il bello della musica suonata davanti a grandi gruppi di persone. Non li senti nelle cuffie. E per noi, suppongo che abbiamo imparato nel corso degli anni che quando la nostra tribù si riunisce, tu inizi ad essere quello che sei. Ma quelle canzoni appartengono al pubblico e tu hai bisogno di loro più di quanto loro abbiano bisogno di te. È una cosa straordinaria”.

Bono: “È bellissimo. È anche il motivo per cui vuoi far parte di una band. Davvero, è difficile, sapete, vogliamo dare il meglio di noi stessi, giusto? Vogliamo tutti essere il meglio di noi stessi. Se vuoi essere la versione migliore di te, puoi far parte di una band, è difficile farlo da solo. Essere in una band ti costringe a confrontarti, ci si viene incontro. Ad un certo punto non puoi nasconderti. Tutti attraversiamo momenti in cui discutiamo, ma alla fine è un confronto. E quando si invecchia, soprattutto per gli uomini il loro ego diventa un po’ fragile. Voglio dire, quello degli altri eh”!

Gavin Friday: “Cos’è l’ego”?

Bono: “Quacosa che interferisce con la capacità di pensare lucidamente”.

The Edge: “Penso che potrebbe essere giusto”.

Bono: “Ma questo è ciò che significa essere una band. Dipendi l’uno dall’altro. Voglio dire, ti rendi conto che dipendi, come diceva Adam, dal pubblico”.

Gavin Friday: “Ti tengono insieme. È giusto”?

Adam Clayton: “Sì. La magia accade con loro quando sono lì. Quella magia accade”.

Gavin Friday: “Brian, posso farti una domanda? A parte i concerti degli U2, quali sono stati i concerti che ti hanno cambiato”?

Bram van den Berg: “Quelli che mi hanno davvero cambiato sono stati gli show di Kate Bush a Londra nel 2014 e, cosa abbastanza divertente, ricordo di essermi svegliato la mattina e di aver pensato ‘come si può inventare qualcosa di meglio di questo?’ e ‘immagini di far parte di qualcosa del genere?’ Ed eccomi qui”.

Bono: “Nessuno di noi può sfiorare lo scettro di Kate. La musica più straordinaria e innovativa mai realizzata. Anche lei ha esplorato tanto il mondo del teatro. È interessante. Quindi, anche se la tua band è super hardcore, rock and roll, è interessante che tu sia aperto a cose più teatrali”.

Bram van den Berg: “Oh sì. Decisamente. È stata un’esperienza così diversa. E anche lo Sphere è un’esperienza molto diversa. È speciale far parte di qualcosa di nuovo, oltrepassare i confini”.

The Edge: “Sì. Io ricordo quando andammo a vedere Bruce Springsteen anni fa, e ricordo di aver pensato, wow, è come l’opera, ma non come quella che ascoltava mio padre. Ma è opera. È anche come John Steinbeck, come quei libri che ho letto. Ed è anche come Badlands, sai, non la sua canzone, il film. Sembrava di vedere tutti quei film americani, e lui se ne stava lì con la sua band e la chitarra. Quindi è interessante che la musica possa farti scatenare così. E tu, Adam”?

Adam Clayton: “Rispetto ai nostri spettacoli”?

The Edge: “No no, quelli di qualcun altro”.

Adam Clayton: “Oh, lo spettacolo di qualcun altro. Il mio primo concerto in assoluto è stato Rory Gallagher, che era la risposta irlandese, credo, a Eric Clapton e al blues. Ed era proprio quel senso di libertà che mi dava la musica, di andare a un concerto e realizzare che c’erano altre persone come me, perché non lo sapevo davvero. Venivo dalla periferia. Ho studiato in collegio. Non ero mai stato in una squadra, non mi piacevano lo sport, il rugby o altro. Ma vedere Rory suonare è stato grandioso”.

Bono: “E dei Thin Lizzy con i loro baffi”?

Adam Clayton: “Oh sì, anche i Thin Lizzy. E ovviamente lui era il grande sostenitore dei baffi, all’epoca non lo avevo realizzato. Quindi questa è l’altra cosa che ho preso da lui, sì. Ogni volta che ascolto i Thin Lizzy e Phil Lynott adesso, mi rendo conto che in un certo senso quello che ha fatto si è radicato in tutti noi che siamo arrivati ​​alla musica in quel modo. C’è un po’ di Phil Lynott in ognuno di noi. Non siamo fortunati? Uno dei più grandi bassisti di sempre”.

Fonte : Virgin Radio