Morto Vincenzo Agostino: la sua “barba bianca” e la battaglia per la verità sul figlio

Se n’è andato all’età di 87 anni Vincenzo Agostino, uno dei simboli della lotta a Cosa nostra. Per 35 anni, da quel tragico 5 agosto del 1889 in cui il figlio Nino e la moglie Ida Castelluccio (incinta di due mesi) furono trucidati davanti la casa di famiglia a Palermo, non si è mai più tagliato la barba in segno di protesta e per chiedere la completa verità sull’omicidio. Che potrebbe arrivare nei prossimi mesi.  

Vincenzo e Nino

Già, perché dopo una lunga vicenda giudiziaria fatta di depistaggi e dichiarazioni contrastanti da parte di alcuni mafiosi, nel 2021 il Tribunale di Palermo aveva condannato il boss di Resuttana Nino Madonia, il killer preferito da Totò Riina, per il duplice assassinio. In quell’occasione Agostino disse che si stava “avvicinando il giorno in cui potrei tagliare la barba”, riferendosi al procedimento in corso per gli altri due imputati per la morte del figlio e della nuora, l’ex prefetto Antonio Daloiso e l’ex poliziotto Giovanni Aiello. Per loro, la sentenza dovrebbe arrivare tra maggio e giugno.

Vincenzo se n’è dunque andato con la lunga barba incolta che lo ha reso uno dei punti di riferimento della lotta alla mafia. La decisione di non tagliarla, come lui stesso ha raccontato in più occasioni, l’ha presa sulla tomba del figlio. Nino era un agente di polizia in servizio al commissariato San Lorenzo di Palermo che avrebbe fatto parte di un gruppo che collaborava con i Servizi segreti per la cattura dei latitanti mafiosi. Proprio questa attività sarebbe all’origine del suo omicidio.

La lunga vicenda giudiziaria

All’inizio, le indagini delle forze dell’ordine si concentrarono su una fantomatica pista passionale. Ma col tempo è emerso che Nino, insieme a Emanuele Piazza, collaboratore esterno del Sisde, avrebbe avuto un ruolo determinante nell’evitare l’attentato dell’Addaura con cui Cosa nostra avrebbe voluto eliminare il giudice Giovanni Falcone. Era il giugno del 1989. Pochi mesi dopo, al suo funerale, lo stesso Falcone si confidò a un commissario: “Io a quel ragazzo devo la vita”, disse rivolgendosi a Nino. 

Negli anni successivi all’omicidio, si sono susseguite diverse ipotesi. Ma per il padre Vincenzo la verità andava cercata non solo tra le fila di Cosa nostra, ma anche all’interno dello Stato. La svolta in questa direzione si è avuta nel 2011, quando nel registro degli indagati sono finiti non solo il killer di mafia Madonia, ma anche l’ex capo di gabinetto dell’Alto commissariato antimafia Daloiso e l’ex poliziotto Aiello, detto anche “faccia di mostro” per il suo volto butterato. Fu proprio Vincenzo, nel 2016, a riconoscere in un confronto all’americana Aiello come l’uomo che aveva cercato il figlio poco prima dell’omicidio. 

Aiello è morto per un infarto l’anno successivo. Il procedimento nei suoi confronti e su Daloiso è agli sgoccioli: il 3 maggio e il 21 sono in programma gli interventi dei difensori degli imputati e poi la Corte d’assise, presieduta da Sergio Gulotta, dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio per la sentenza, ricorda l’agenzia Agi. Vincenzo aspettava questa sentenza: in caso di condanna, spiegò qualche tempo fa, avrebbe potuto finalmente “mantenere la promessa che ho fatto sulla tomba di mio figlio”. E tagliarsi la lunga barba bianca. 

Fonte : Today