Non chiamatela censura: è la Rai, focolaio di polemiche perlopiù inutili

Scurati censurato, Amadeus dice addio e la Rai entra nel caos. Ma esiste davvero TeleMeloni? Dato per assodato che, fin dalla nascita, la tivù pubblica ha vissuto la lottizzazione come sua ragion d’essere non ci si può scandalizzare del fatto che, ora, abbia una diversa impostazione. Forse ci si è già scordati TeleKabul di Sandro Curzi? I talk show del giovedì di Michele Santoro erano forse degli esempi condicio e imparzialità? E che dire delle pseudo-conferenze stampa fatte da Giuseppe Conte in piena pandemia con dirette Facebook e senza giornalisti presenti? All’epoca, nessuno di coloro che oggi sbraita contro TeleMeloni alzò il ditino nei confronti del Tg1 targato M5S che mandava in onda i video inviati da Rocco Casalino. Nessuno eccetto il renziano Michele Anzaldi che oggi non si trova più in Parlamento.

Insomma, per quanto possa sembrare giusto e doveroso lamentarsi per la lottizzazione Rai, nessuna forza politica avrebbe il diritto di lamentarsi perché “nessuna è verginella”. C’è un’unica differenza: se la lottizzazione arriva da sinistra allora è naturale “spoils system”, mentre se arriva da destra diventa improvvisamente “occupazione del servizio pubblico”. Un’anomalia figlia di un Paese che vota tendenzialmente centrodestra ma che subisce l’egemonia culturale della sinistra. E così se Pippo Baudo (è successo a metà anni ’90) e Mara Venier (anni 2014-2018) lasciano la Rai per Mediaset non casca il mondo, ma se Fabio Fazio e Amadeus passano a La9 apriti cielo.

Sarebbe bene ricordare che entrambi, in un passato non tanto lontano, avevano già abbandonato una volta mamma Rai e con esiti non entusiasmanti. Il primo era andato alla corte di Cairo e non aveva toccato palla, mentre il secondo aveva vissuto il periodo peggiore della sua carriera. Ora, Fazio se n’è andato portandosi via il suo collaudato format, mentre Amadeus ha alle spalle cinque anni di Sanremo strepitosi dal punto di vista dello share e quindi difficilmente la sua carriera subirà un tracollo. Il problema è la Rai che, a prescindere dai suoi vertici, è considerata da sempre un carrozzone, focolaio incessante di polemiche perlopiù inutili.

Basti pensare a Bruno Vespa crocifisso sulla pubblica piazza per non aver invitato neanche una donna a parlare di aborto. A meno che non si voglia tornare agli anni ’70 in cui vigeva lo slogan ‘l’utero è mio e lo gestisco io’, è bene ricordare che (solitamente) anche gli uomini partecipano alla nascita di un nuovo essere umano e dovrebbero avere voce in capitolo. La scrittrice Boralevi, invece, è stata linciata sui social per aver espresso un’idea patriarcale sulle donne che bevono il vino. Una polemica da radical-chic.

E qui mi fermo. Chiunque, infatti, nella tivù pubblica dovrebbe avere il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma non è necessario che venga pagato duemila euro per farlo. È vero che Scurati è vincitore di un premio Strega, ma può attaccare Giorgia Meloni anche gratuitamente. È altrettanto vero che alla Rai targata Meloni, probabilmente, sarebbe convenuto pagare quei duemila euro piuttosto che essere investita dall’ennesima polemica inutile. Il testo del monologo di Scurati, infatti, così ha avuto una risonanza ancora maggiore e persino il premier Meloni lo ha rilanciato sui suoi social. 

Nell’inner circle del premier si respira aria pesante perché spesso, nel tentativo di compiacere la regina, i sudditi rischiano di far scoppiare dei conflitti inutili, e a tutti gli effetti controproducente.

Fonte : Today