I pro vita nei consultori ci sono già: la questione è un’altra

Da qualche giorno stiamo tutti discutendo sull’emendamento al disegno di legge per l’attuazione del PNRR, che dà legittimità a livello nazionale all’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori. Il governo ha voluto più volte precisare che non si tratta di un tentativo di modifica della legge 194, ma che anzi se ne sta ribadendo l’articolo 2. Questo è tecnicamente vero: la legge 194 già prevede delle misure di valutazione delle ragioni per cui la donna desidera abortire e di sostegno nel caso in cui queste siano principalmente di natura economica o relative ad altre difficoltà pratiche. Di conseguenza, sbaglia chi riporta la notizia (come molti stanno facendo) facendo intendere che si tratti di una cosa inedita: le associazioni antiabortiste nei consultori ci sono già. Viene anche precisato che non dovrà esserci alcun onere aggiuntivo per lo Stato, quindi non parliamo nemmeno di fondi ulteriori. È vero quindi che il governo non sta modificando la legge 194, ed è controproducente affermare il contrario. Bisognerà però che ci domandiamo allora il perché di questo emendamento: se di fatto non introduce niente di nuovo, a che scopo inserirlo? Il segnale politico e l’intento sono chiarissimi: l’aborto rimane un diritto, è vero, e già prima era permesso alle associazioni antiabortiste l’ingresso nei consultori, ma ora questa pratica ottiene ulteriore legittimità. Il governo, più che impegnarsi per garantire che alle donne venga effettivamente garantito il diritto di abortire, senza ostacoli e complicazioni, cerca di rafforzare le misure che possono dissuaderle dal compiere questa scelta. Ed è di questo, secondo me, che dovremmo parlare.

L’idea di scoraggiare la donna è sbagliata alla base

Che sia previsto un supporto psicologico per la donna che sceglie di abortire è sacrosanto; che siano disponibili delle misure per chi non vorrebbe realmente farlo, ma è costretto da difficoltà economiche, va benissimo; ma l’idea di base delle politiche sull’aborto sia che la donna che sceglie di farlo debba possibilmente essere convinta a cambiare idea è inaccettabile. E la solfa del calo della natalità non regge: se questo fosse l’obiettivo, si investirebbe nei sostegni alle persone che i figli sono certi di volerli fare (coppie – non solo etero – come singoli). Il vero motivo è che in Italia siamo ancora schiavi di una certa mitizzazione della maternità, vista come qualcosa di sacro e di cui quindi è necessariamente orribile disfarsi. Ma chi ha detto che debba essere così? Perché dobbiamo immaginare la donna che abortisce come una vittima di sé stessa o una sfortunata fanciulla che necessita di aiuto? E perché dobbiamo farla sentire in colpa, come se stesse compiendo un atto abominevole di cui si pentirà senz’altro, e a cui deve essere condotta solo da stringentissime e insormontabili necessità? Trovo che anche una certa parte degli oppositori del governo faccia, in modo speculare, questo stesso errore. Non facciamo che dire che la donna che abortisce si accinge inevitabilmente a un evento devastante, a cui si rassegna solo per cause di forza maggiore, e che dunque non può essere oggetto di giudizio da parte di nessuno, e che non deve essere messo in discussione da estranei che in un momento come quello si mettano sulla soglia della stanza a predicare di sacralità della vita. Verissima quest’ultima parte: nessuno deve permettersi di interferire, e l’unico ruolo dei “soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità” dovrebbe essere quello di informare la donna sulle altre opzioni solo se questa lo richiede. Di certo non possiamo accettare gente che vada in giro a far sentire battiti cardiaci.

Il tabù sull’aborto va rimosso

Ma continuare a ribadire che rimanere incinte è un’esperienza determinante per la vita femminile e che interrompere la gravidanza è quindi un atto che causerà profondo dolore non fa che rafforzare il tabù sull’aborto. In realtà non dovremmo discutere affatto di quanto sia o non sia doloroso: questo è un aspetto pertinente solo nella misura in cui dobbiamo tenerne conto per garantire supporto psicologico alla donna che ne mostri il bisogno. Per il resto, dovremmo iniziare a parlare della questione in termini razionali, come sempre sarebbe opportuno quando si tratta di leggi: abortire è un diritto, e nessuno deve interferire con il suo esercizio. Può essere difficile, e quindi deve essere garantito un sostegno psicologico. Può anche non essere una scelta di cui la donna è convinta, e in quel caso deve essere garantito anche un sostegno di altro tipo. Tutto qui: nient’altro deve interessarci, e la retorica pietistica sulla povera donna distrutta non dovrebbe trovar spazio da nessuna parte, tanto quanto quella intimamente cattolica sulla sacralità della vita. Certo, l’aborto non può sostituirsi alla contraccezione: ma questa è un’obiezione inconsistente, perché in Italia non siamo neanche lontanamente giunti a una situazione in cui abortire sia così facile. Inoltre si tratta evidentemente di un’operazione molto più complicata, per la donna, rispetto all’assunzione di una pillola o al controllo dell’integrità del preservativo. E poi, semmai, l’uso dell’aborto come contraccettivo denuncerebbe il fallimento dell’educazione sessuale a scuola (che infatti non è garantita), più che il bisogno di mandare missionari nei consultori a dissuadere le donne. Sono convinta che noi, sostenitori e difensori del diritto all’aborto (e in generale del diritto di chiunque di scegliere cosa vuole per sé stesso senza che nessuno si metta a pontificare), dobbiamo distanziarci nettamente dalla retorica cattolica; e per farlo, dobbiamo smettere di mitizzare la maternità. Ciò che deve interessarci sono le questioni pratiche e gli approcci razionali; ciò che deve interessarci è che gli ostacoli all’applicazione reale del diritto all’aborto vanno rimossi, e ciò vuol dire prima di tutto affrontare definitivamente il problema (e l’ossimoro) dei ginecologi obiettori. Il sistema va scardinato a partire dalle fondamenta; e cioè a partire dalle premesse moralistiche che, se rafforzate troppo, finiscono col dare spago a chi l’aborto vorrebbe, se non proibirlo, senz’altro limitarlo il più possibile.

Fonte : Today