Circa un miliardo di elettori alle urne: come funzionano le (lunghe) elezioni dell’India

Quarantaquattro giorni. Tanto dureranno le elezioni in India, il Paese più popoloso al mondo che ospita oltre 1,4 miliardi di cittadini e cittadine, più della Cina. Dal 19 aprile al primo giugno, 968 milioni di elettori (più del 10 per cento della popolazione mondiale) si sono registrati per andare alle urne e votare – in sette diverse fasi – i 543 membri della Lok Sabha, la camera bassa del parlamento. Un po’ come in Italia, i deputati e le deputate indiane della Lok Sabha – che, insieme alla camera alta, il Rajya Sabha, compone l’organo legislativo indiano – formeranno una maggioranza di governo per poi nominare un nuovo primo ministro. I risultati saranno annunciati il 4 giugno.

In quasi due mesi, la Commissione elettorale deve allestire più di 1 milione di seggi in oltre 3,3 milioni di chilometri quadrati, con 15 milioni di persone, tra scrutinatori e personale di sicurezza, impegnate a garantire l’accessibilità al voto dei cittadini. Le macchine elettorali (5,5 milioni in totale) nelle zone più remote e inaccessibili dell’India vengono trasportate sul dorso di cavalli ed elefanti, mentre alcuni i seggi elettorali possono essere raggiunti solo in barca. L’India vanta anche il seggio elettorale più alto del mondo, situato a 4.650 metri sulle montagne dell’Himalaya. 

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Nei suoi 75 anni di indipendenza, le elezioni indiane sono state generalmente libere ed eque, ma l’erosione della libertà di espressione e di stampa e la politicizzazione delle istituzioni statali (Corte suprema, Commissione elettorale, polizie federali e l’Enforment directorate, il corpo di polizia usato dal governo per attaccare gli oppositori) sotto il governo di Narendra Modi mettono in allarme gli osservatori sull’esito del voto. Le autorità hanno infatti inasprito il controllo sulle piattaforme digitali e accumulato grandi quantità di dati personali di cittadini, stando a quanto denunciato da Human Rights Watch “Il rischio di un uso improprio della tecnologia nelle elezioni indiane è significativo e potrebbe determinare un vantaggio gioco a favore del partito al governo”, ha affermato Deborah Brown, direttrice ad interim per la tecnologia e i diritti umani di Human Rights Watch.

Come voterà un miliardo di persone?

A queste elezioni sono registrati più di 2.600 partiti politici ma il grande favorito, senza troppe sorprese, è il Bharatiya Janata Party (Bjp) dell’attuale premier Modi, che guida ininterrottamente l’India dal 2014 e che potrebbe farlo per i prossimi cinque anni. C’è poi la debole opposizione. Sono oltre venti i partiti indiani che lo scorso luglio si sono coalizzati per sfidare il partito di Modi con l’Indian National Developmental Inclusive Alliance, evocativo acronimo “India”. Il successo dell’alleanza potrebbe essere legato alla capacità di far fronte comune, accordandosi sulla ripartizione dei seggi in modo da non avvantaggiare l’avversario, in un sistema uninominale secco (in cui chi vince prende tutto). Ma il premier indiano Modi potrebbe trarre vantaggio dalle turbolenze che agitano l’eterogenea coalizione di opposizione. Il caos deriva dalle diverse visioni sull’unica alternativa al Bjp, il Partito del Congresso guidato da Rahul Gandhi, che nonostante abbia ottenuto meno del 20 per cento dei voti e appena 52 seggi nel 2019, pretende più seggi: una pretesa per cui difficilmente i partner regionali sono disposti a fare un passo indietro. Alle elezioni generali del 2019, invece, il partito di Modi ha ricevuto il 37 per cento in termini di voti popolari, ma ha conquistato ben 303 dei 543 seggi. In questa tornata elettorale, la coalizione che sostiene il Bjp punta a conquistare 400 seggi, di cui 370 solo in quota del partito di Modi.

Il partito di Modi vanta anche un vasto e ben organizzato gruppo di attivisti e volontari in tutti gli Stati e dispone di una propria formidabile macchina di propaganda, che opera attraverso i social media e app di messaggistica come WhatsApp, il cui uso è stato criticato durante le precedenti elezioni per la diffusione di disinformazione e fake news. Accuse che non hanno affossato l’immagine di Modi, che ha fatto un uso strategico dei media per contribuire a costruire una narrazione a lui favorevole. Non sorprende, quindi, che intorno al primo ministro si sia sviluppato un culto della personalità, ormai considerato un leader uomo forte ma anche un uomo del popolo. 

La ribalta dell’ultra induismo 

La terza vittoria consecutiva del premier, che dieci anni fa incarnava la figura dell’outsider, appare quindi scontata. Quando Modi si è candidato per la prima volta a primo ministro, dieci anni fa, lo ha fatto promettendo infrastrutture, sviluppo e lotta alla corruzione, scegliendo come collegio elettorale Varanasi, nell’Uttar Pradesh, considerata la capitale spirituale dell’India, dove i pellegrini indù si immergono nelle sacre acque del fiume Gange e partecipano ai riti funerari. Il suo simbolismo religioso è lo sfondo perfetto per le ambizioni nazionaliste indù del suo Bharatiya Janata Party. 

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Modi è riuscito a conquistare la fiducia dei suoi cittadini e cittadine, grazie alla trasformazione dell’India: l’idea di superpotenza, progresso tecnologico e sviluppo economico è diventata realtà. Ma a spingere la “New India” di Modi è l’ideologia ultra induista Hindutva, che ha messo nell’angolo i musulmani presenti nel Paese (circa 230 milioni), e che ha allontanato l’India dal secolarismo sancito dalla costituzione, garante dell’uguaglianza per tutte le religioni. 

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Gli errori politici e i sogni realizzati da Modi

Le persecuzioni religiose e l’islamofobia sono aumentate notevolmente sotto la guida di Modi e molti accusano il primo ministro di aver appoggiato il settarismo per rafforzare ulteriormente le sue credenziali nazionaliste e distogliere l’attenzione dai “fallimenti della sua politica”. Nonostante l’economia indiana abbia goduto di una crescita costante durante tutto il mandato di Modi (fatta eccezione della parentesi del 2019-2020 a causa della pandemia di Covid-19), resta il dubbio su una diffusione della ricchezza a livello collettivo. La crescita economica non è omogenea e penalizza soprattutto la popolazione che vive al nord del Paese. Il sud, invece, con i suoi cinque Stati (Andhra Pradesh, Karnataka, Kerala, Tamil Nadu e Telangana), costituisce quasi un terzo del Pil indiano, principalmente a causa della ricca industria tecnologica che è considerata il motore della crescita economica del Paese.

Insomma, si è arricchita la parte della popolazione più ricca, ovvero l’1 per cento degli indiani che detiene il 40 per cento delle ricchezze del Paese, mentre quella meno abbiente lotta contro gli alti prezzi causati dall’inflazione. La crescita del Pil, vicina al 7 per cento, fatica a creare posti di lavoro per i più giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile, nel 2023, ha registrato il 45,4 per cento soprattutto nelle zone rurali. E la carenza di manodopera giovanile rischia di mettere in discussione l’obiettivo di Modi di far diventare l’India un’economia sviluppata entro il 2047, arrivando a superare la Cina in termini di reddito pro capite (nel 2022, era di circa 12.720 dollari per la Cina e 2.410 dollari per l’India, dati Banca Mondiale).

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Modi sa che l’elettorato di cui ha bisogno è quello più indigente. Per questo durante il lungo tour elettorale, ha promosso la “Modi ki Guarantee”, la politica che promette sviluppo economico, costruzione di infrastrutture, tra cui aeroporti e autostrade, e sostegno alle famiglie con programmi di welfare a favore dei più bisognosi, che prevedono razioni alimentari gratuite.

L’importanza mondiale dell’India

Essendo il paese più popoloso del mondo, con una delle economie in più rapida crescita, l’esito delle elezioni avrà un impatto anche a livello internazionale. L’India è diventata un partner sempre più importante per paesi come Regno Unito, Stati Uniti e Francia, che hanno recentemente firmato accordi e perseguito rapporti più stretti con New Delhi per contenere l’ascesa e l’influenza politica della Cina nell’Indo-pacifico.

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La rivalità tra i due giganti asiatici è anche in campo economico. L’India vuole sostituirsi alla Cina come polo manifatturiero e tecnologico mondiale, offrendo un’alternativa alle aziende che desiderano ridurre il rischio di finire nel campo della guerra commerciale e tecnologica tra i Cina e Stati Uniti. Molte aziende, come Apple, stanno trasferendo la loro produzione nel Subcontinente indiano, dove la manodopera ha un costo inferiore di quella cinese. Mai come in questo periodo storico, tra alleanze scricchiolanti e guerre in corso, le elezioni del Paese più popoloso al mondo sono un appuntamento a cui dover guardare.

Fonte : Today