“Il ponte sullo Stretto può far cadere il governo Meloni”

Il ponte sullo Stretto di Messina, fortemente voluto dal vicepremier Matteo Salvini, torna ad essere poco più di un semplice plastico da rispolverare periodicamente nello studio di Porta a Porta. Dopo lo stop da parte del ministero dell’Ambiente guidato da Pichetto Fratin, che ha chiesto oltre 200 integrazioni al progetto, 40 professionisti hanno presentato esposti alla Procura della Repubblica di Messina, alla Procura della Repubblica di Roma, alla Corte dei Conti e al Cipess (il comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) in cui si chiede di verificare eventuali profili di responsabilità penale e contabile.

Un percorso sempre più a ostacoli che potrebbe confermare quello che sostengono in molti, ovvero che l’opera in realtà non sia realizzabile. “Noi non abbiamo mai espresso una pregiudiziale di contrarietà sul ponte sullo Stretto – spiega, a Today.it, il vicepresidente della commissione Trasporti della Camera e deputato Pd, Roberto Morassut – ma abbiamo sempre detto che quel progetto è irrealizzabile e presenta enormi difficoltà tecniche”. 

Cosa ve lo fa pensare?

“È un’opera nata male, un grande pasticcio amministrativo. Ed è nata male perché l’obiettivo principale non sembra essere la sua effettiva realizzazione, ma quello di sanare il contenzioso del vecchio appalto fatto dal governo Berlusconi e rimasto in sospeso. Un vecchio appalto che impegnava lo Stato a sanare l’impresa appaltatrice di diversi miliardi di euro. Si è deciso di riattivare tutto per sanare quel buco. Che poi il progetto sia o non sia valido al governo importa poco, infatti ha subito incontrato enormi ostacoli. Il primo ostacolo è contenuto nel documento della commissione Via Vas. Va ricordato che parliamo di un organismo che non può essere indirizzato politicamente; è composto da un gruppo di esperti che gode di una fortissima autonomia all’interno del Ministero dell’Ambiente. È infatti ha espresso un documento con 239 osservazioni, così tante da mettere in ginocchio il progetto stesso. Quindi c’è da scommettere che si tornerà di nuovo ai blocchi di partenza, perché in questo modo non si va avanti e soprattutto si rischia di disperdere altri soldi.

Presentato così è un pozzo senza fondo.

“Pensiamo solo che la stessa società Stretto di Messina nasce con l’anomalia di prevedere un gettone per gli amministratori che va in deroga a tutte le leggi dell’ordinamento. Paghiamo 250 mila euro l’anno ogni persona che si siede su quel consiglio di amministrazione: È uno stipendificio. Ci sono tutte le condizioni per fermarsi e ragionare con attenzione su quello che si deve fare. L’ex ministro delle Infrastrutture del governo Draghi, Enrico Giovannini, aveva costituito una commissione per approfondire ogni possibile aspetto relativo alla realizzazione dell’opera, ma con il nuovo governo si è scelto di ripartire dal vecchio progetto. Il ministro Matteo Salvini, calcolo elettorale dopo calcolo elettorale, rischia di rovinare il Paese, il suo partito – che continua a crollare nei consensi – e persino il governo Meloni, che sul ponte sullo Stretto potrebbe cadere”.

Addirittura?

“L’opera si regge su un accordo, interno al governo, per tutelare il leader di un partito che ha meno del 10 per cento; ma i nodi stanno venendo al pettine e presto dovranno dire se si farà o non si farà. È una di quelle operazioni che potrebbe causare un fallimento di tale portata da minare le fondamenta dell’esecutivo. In un quadro di infrastrutture che necessiterebbero di grandi investimenti, il governo si concentra su un’opera sbagliata, fatta su un progetto vecchio, che viene messa in discussione anche dalla Via Vas, che non ha coperture economiche, di cui non si conoscono i costi reali, ma che nel frattempo diventa uno stipendificio. Un’opera che rischia di essere fermata ogni due giorni da un tribunale”.

Sembra abbastanza convinto che alla fine l’opera non vedrà mai la luce.

“Così come si presenta è un costoso ecomostro irrealizzabile. Le risorse che sarebbero necessarie sono molte più di quelle dichiarate e non hanno copertura finanziaria. E sono molte di più perché vanno fatte una serie di opere d’arte di adduzione al ponte, come gli svincoli e i tratti stradali. Non c’è dunque né la garanzia del mantenimento dei costi, né della copertura, né del rispetto dei tempi. Nel frattempo però il governo ha messo in moto una macchina mangia-soldi da oltre 13 miliardi, in una situazione in cui tutto il sistema delle infrastrutture italiane sta entrando in sofferenza”.

Cosa servirebbe all’Italia al posto del ponte sullo Stretto?

“Ci si sta concentrando su un’opera dalla dubbia utilità, mentre Rfi ha un piano industriale che non ha copertura finanziaria: quindi ci sarà il problema di come coprirlo. Tra l’altro è stato già approvato e presenta molti problemi: uno dei più gravi è quello della tensione elettrica della rete ferroviaria, che è il motivo per cui i treni si fermano così spesso. Poi c’è il nodo della manutenzione delle strade sottoposte alla gestione dell’Anas. Il governo vuole costruire una società per azioni per portarci dentro le autostrade attualmente gestite da Anas per poi privatizzarle dandole in concessione”.

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“C’è poi molta incertezza sul futuro dei porti – spiega ancora Morassut –  perché fatica a venire avanti la proposta di riforma che il governo ha annunciato attraverso il sottosegretario Rixi. C’è un grande problema sul trasporto aereo: a parte del note difficoltà della compagnia di bandiera, ci sono molte criticità sul piano aeroporti. Infine, la grande questione del trasporto pubblico locale, che è in sofferenza. Abbiamo fatto partite un’indagine conoscitiva in commissione Trasporti: le aziende del trasporto pubblico delle città, dopo il Covid, sono entrate in crisi e faticano ancora a tornare a regime. Questo è il quadro delle infrastrutture italiane, ma in Sicilia i problemi sono ancora più gravi perché mancano proprio le reti stradali e ferroviarie: se pure si realizzasse il ponte, dall’altro lato non si troverebbe nulla. E con l’autonomia differenziata le cose potrebbero addirittura peggiorare: ci sarà una delega totale alle regioni che potranno legiferare autonomamente anche sulle infrastrutture; ma è evidente che un Paese come l’Italia non può avere un quadro infrastrutturale diviso in venti realtà. Si sta determinando una grande disgregazione che produrrà una paralisi, perché il sistema economico e produttivo non può stare senza un quadro d’insieme”. 

Fonte : Today