La protesta dei dipendenti di Google contro Israele

I giornali oggi riportano con grande enfasi, e spesso con il sopracciglio alzato, gli incidenti all’Università La Sapienza per la Palestina. Ieri ci sono stati scontri fra alcuni studenti e la polizia dopo che il senato accademico aveva confermato la collaborazione scientifica con Israele. Una dinamica già vista in altri atenei nei giorni scorsi e che non sembra destinata a placarsi.

Nelle stesse ore negli Stati Uniti decine di dipendenti di Google hanno iniziato un sit-it di protesta negli uffici di New York, San Francisco, Sunnyvale e Seattle per chiedere di interrompere la collaborazione con Israele. In particolare si riferiscono a un progetto chiamato Nimbus tramite il quale Google e Amazon forniscono l’infrastruttura cloud alle forze armate israeliane che poi se ne avvalgono per proseguire l’occupazione di Gaza che fin qui ha portato alla morte di oltre 34mila civili e condotto alla fame due milioni di persone. “No Tech for Apartheied” è lo slogan dei manifestanti.

Non è la prima volta che i dipendenti di Google, e in generale della Silicon Valley, si battono contro un uso militare delle loro tecnologie. Un paio di anni fa ci fu una protesta clamorosa per un contratto con il Pentagono, quindi con la Difesa americana, che venne congelato. E la startup inglese DeepMind, che Google ha acquistato qualche anno fa e che è oggi il motore della sua intelligenza artificiale, mise fra le condizioni per la vendita la certezza che non ci fossero impieghi bellici. La protesta di queste ore ha insomma radici che provengono dalla controcultura pacifista californiana e certamente sta trovando nuove sponde nei tantissimi dipendenti di origine araba delle aziende della Silicon Valley.

Ma non è solo questo: la protesta è supportata anche da una organizzazione molto attiva negli Stati Uniti che si chiama Ebrei per la Pace. Un mese fa un ingegnere di Google Cloud, Eddie Hatfield, è stato licenziato per aver interrotto una conferenza mentre stava parlando il capo di Google Israele: “Mi rifiuto di sviluppare una tecnologia che aiuta a commettere un genocidio”, aveva gridato l’ingegnere. Tre giorni dopo un alto dirigente di Google si è dimesso, il primo di una serie. Mentre ad Apple alcuni dipendenti sono stati minacciati di rappresaglie per aver espresso solidarietà al popolo palestinese con una spilla, un braccialetto o una kefiah. Quelli che liquidano le proteste nei nostri atenei come l’azione insensate di un piccolo gruppo di estremisti si stanno perdendo qualcosa.

Fonte : Repubblica