Israele e il dubbio sulla risposta all’attacco dell’Iran: cosa succede ora

Israele risponderà all’attacco che ha subito dall’Iran, ma l’entità della reazione deve ancora essere decisa. La notizia è riportata dalla Cnn, citando un alto funzionario dell’amministrazione israeliana. La stessa fonte ha aggiunto che Israele deve ancora capire se scatenare una reazione molto violenta o fare qualcosa di più misurato. Le diverse opzioni dovrebbero essere discusse in dettaglio durante la riunione del gabinetto di guerra israeliano convocato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha concluso la stessa fonte. 

Ma secondo quanto riportato dal New York Times, Netanyahu avrebbe annullato un attacco di ritorsione immediato dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Diversi membri del gabinetto di guerra avevano chiesto a Netanyahu di rispondere subito. Ma la mancanza di gravi danni in Israele e il colloquio tra Biden e Netanyahu hanno fatto sì che la rappresaglia non avesse luogo nell’immediato. 

Cosa ha colpito l’Iran nell’attacco a Israele

L’Iron Dome israeliano, il sistema di difesa aerea tra i più avanzati al mondo, insieme all’azione di aeronautica e “sistema Arrow” del hanno limitato i danni dell’attacco iraniano. “Mi risulta che contro Israele sono stati lanciati circa 360 diverse munizioni, 170 droni esplosivi, 30 missili cruise e 120 missili balistici”, ha dichiarato alla Bbc il tenente colonnello Peter Lerner, un portavoce dell’esercito israeliano. “La grande maggioranza è stata intercettata”, ha aggiunto.

Ma ci sono stati dei danni e degli obiettivi sono stati colpiti. L’Iran ha comunicato di aver preso di mira la base aerea di Nevatim perché è da lì che sono decollati gli F-35 usati per colpire il consolato a Damasco il primo di aprile, come ha reso noto il capo di stato maggiore delle forze iraniane, il generale Mohammad Hossein Bagheri. Il raid contro la base del Negev, uno dei pochi non intercettati, ha provocato solo lievi danni, ha precisato Israele. Un altro obiettivo dei raid di Teheran, ha detto Bagheri, è stato anche un “grande centro di informazione” vicino al confine con la Siria.

Le intenzioni di Israele: come e dove può colpire in Iran

Intanto, l’Idf israeliano ha colpito un sito di Hezbollah nell’est del Libano, vicino al confine siriano, secondo quanto dichiarato dall’esercito israeliano e da una fonte del gruppo sostenuto dall’Iran. “I jet da combattimento hanno colpito un importante sito di produzione di armi di Hezbollah” nella zona di Nabi Sheet, nelle profondità del Libano”.

La fonte di Hezbollah ha dichiarato che “l’attacco israeliano ha preso di mira un’area… vicino a Baalbek e ha preso di mira un edificio a due piani appartenente a Hezbollah”, aggiungendo che non ci sono state vittime. L’agenzia di stampa nazionale libanese ha riferito che “un attacco aereo nemico ha preso di mira un edificio” nel villaggio di Nabi Sheet e lo ha “distrutto”.

“Più di 330 droni, missili e razzi non sono solo un casus belli, sono una dichiarazione di guerra”, dice il professor Kobi Michael, ricercatore senior all’Inss, Institute for national security studies israeliano, in un colloquio con l’Adnkronos.

”A poche ore da questo evento storico, la richiesta della comunità internazionale a Israele è di limitarsi a intercettare e abbattere droni e missili, anche con il supporto aereo di Stati Uniti, Regno Unito, persino Giordania, e di non reagire. Invece dovremmo creare immediatamente una nuova architettura regionale con due obiettivi: affrontare in modo efficace la questione palestinese e contrastare l’asse iraniano”.

Quando si chiede al professor Michael se nella nuova alleanza regionale deve entrare anche l’Arabia Saudita, insieme al gruppo degli Accordi di Abramo (in particolare Emirati Arabi Uniti e Bahrein), la risposta è netta: ”Certo, ormai per i sauditi è chiaro che i prossimi obiettivi possono essere loro. D’altronde lo sono stati già nel 2019, quando droni iraniani hanno colpito le strutture della compagnia petrolifera Saudi Aramco. All’epoca furono solo 20 velivoli senza piloti. Ora le capacità distruttive di Teheran sono aumentate enormemente”, precisa Michael all’Adnkronos.

Ma quale sarebbe la mossa più giusta per Israele? La risposta è netta: ”Colpire l’Iran nel suo territorio, magari proprio nelle infrastrutture usate per la costruzione dei droni che vengono usati per uccidere gli ucraini e dagli Houthi per attaccare navi civili nel Mar Rosso”.

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“Trovo inconcepibile che una coalizione grande e potente come quella guidata dagli Stati Uniti lasci che il commercio globale venga destabilizzato e indebolito da una fazione rognosa ma in fondo piccola come quella degli Houthi. L’Iran non ha la nostra capacità di rispondere a un attacco mirato, né sul piano della contraerea né dei jet da guerra. È ora che gli iraniani capiscano che agire da bulli nella regione comporta un alto prezzo da pagare. L’Iran non è più una potenza regionale, è una potenza globale capace di seminare il caos in un’area molto vasta. Se resta impunita, farà precipitare il sistema di deterrenza internazionale”, conclude Michael.

Il precedente: quando Israele non reahì ai missili Scud di Saddam Hussein

Anche nel 1991 Israele venne attaccato da missili. Quella volta ad aggredire lo Stato ebraico fu l’Iraq. E, su pressione degli Usa, per la prima e finora unica volta Tel Aviv decise di non reagire, come in tanti gli stanno chiedendo di fare anche in queste ore. 

Tutto accadde all’inizio della prima guerra del Golfo, quando nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991 la coalizione iniziò il suo attacco, denominato operazione Desert Storm, per far ritirare gli iracheni dal Kuwait. Saddam rispose lanciando i suoi Scud su Haifa e Tel Aviv: una mossa dettata da ragioni strategiche più che ideologiche. L’obiettivo era trascinare Israele in guerra in modo da allontanare gli altri Stati arabi dal conflitto. Sapeva perfettamente che se lo Stato ebraico fosse entrato in guerra, gli alleati arabi cooptati dagli Stati Uniti nella coalizione anti-irachena si sarebbero trovati in una situazione estremamente complicata, ritirando l’appoggio.

Per questo motivo l’allora presidente americano, Bush padre, si adoperò molto affinché Israele affinché non reagisse agli Scud. E per impedire che i missili di Saddam causassero una quantità di danni tale da scatenare la risposta israeliana, gli Stati Uniti schierarono rapidamente nel Paese alleato le batterie di difesa anti-missilistica, i famosi Patriot. In più dedicarono, secondo alcune stime, un terzo del loro sforzo bellico in Iraq alla ricerca e alla distruzione delle rampe di lancio di Saddam: compito non facile, considerando che gli Scud erano montati su rampe mobili sparse in tutto il deserto occidentale iracheno.

Quando quel 17 gennaio 1991 i primi Scud vennero lanciati dall’Iraq sulla regione centrale di Israele, lo Stato ebraico era comunque pronto a reagire. I jet delle forze aeree israeliane in effetti iniziarono a volare nei pressi del confine occidentale del Paese del Golfo, ma non lanciarono mai un attacco. Alcuni giorni dopo i primi Scud venne preparata una missione segreta di commando: truppe d’elite delle forze speciali israeliane vennero effettivamente caricate su elicotteri per un rapido intervento in Iraq, ma una telefonata dalle più alte sfere di Washington fermò gli apparecchi sulla pista.

Fonte : Today