Europa del futuro, come la immaginano i capi dei 27 Stati

Si passa quindi a “incentivare il processo di allargamento”, aggiornando le procedure e “supportando i candidati nel raggiungere i criteri di accesso”. Difficile non leggere il riferimento all’Ucraina, unico vero candidato, in predicato di aderire e che non fa mistero di aspirare a essere il ventottesimo Stato membro; ma Kyiv, che da tempo sta preparando il terreno (per esempio adeguando la legislazione edilizia per rispettare i parametri verdi di Bruxelles) deve risolvere importanti problemi interni, sopra a tutti quelli legati alla corruzione, endemica nel Paese.

La parte economica

La parte economica si apre con una sezione dedicata al mercato unico, che va “completato in tutte le dimensioni, “diversificando e rendendo sicure le nostre catene di approvvigionamento” e “promuovendo innovazione e ricerca, inclusi i campi della difesa, anche per accompagnare l’Europa verso la neutralità climatica”. Difficile, per il lettore, intravedere il legame tra armi e clima, il che suggerisce l’idea di un documento ancora embrionale, una bozza di lavoro, un pot pourri per testare gli animi e aprire le discussioni. Si parla, inoltre, di “costruire un’unione energetica, riducendo la dipendenza dalle materie prime tramite economia circolare e riciclo. Menzione per dati, AI e tecnologie pulite, riduzione del carico amministrativo e politiche sociali.

Il documento si chiude con una sezione dedicata alla tutela delle libertà e della democrazia, da sempre vessillo dell’Unione, che se un ruolo ha nello scenario internazionale è proprio quello di faro dei diritti.

Le reazioni sul clima

La summa è un documento dal sapore sovranista, difensivo e poco ambizioso dal punto di vista climatico. Specchio dei tempi, come già visto alla conferenza sul clima di Dubai. “Questo piano prospetta una strategia militare da ventesimo secolo per proteggere le persone dalle minacce del ventunesimo – commenta Ariadna Rodrigo, senior political campaigner di Greenpeace Europe -. Ma non si può sparare a un incendio o bombardare un’alluvione. Più armi non renderanno l’Europa un posto più sicuro per le prossime generazioni”.

Bisogna ricordare che ogni euro speso in armi è un euro tolto alla lotta contro il riscaldamento globale e la giustizia climatica”, sottolinea con Wired l’italiana Chiara Martinelli, direttrice di Climate Action Network Europe, la principale rete continentale di associazioni ambientaliste. “L’Unione deve chiarire che la riduzione del carico burocratico non deve significare smantellare gli standard ambientali e sociali che ci proteggono. I benefici di continuare a perseguire una politica climatica ambiziosa superano i costi”. Perché uno dei temi principali di questi anni è che il fatto che il peso della transizione verde ricade, a oggi, principalmente sulle spalle delle categorie più svantaggiate. Si è creato uno scollamento tra afflato ideale e realtà dei fatti: tradotto, se si avanza troppo in fretta si rischia di perdere per strada le masse e di aprire la strada al negazionismo. Ma il decennio che si avvia al giro di boa è decisivo per centrare – o almeno avvicinarsi – agli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale entro i 2 gradi fissati dalla scienza. E in un mondo che passa da una crisi all’altra, il clima non fa più prendere voti.

Fonte : Wired