Canale di Panama, la storia del complicato progetto

Nell’agosto del 1914, poco tempo dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, nelle Americhe si stava consumando un altro evento storico: l’apertura al traffico del canale di Panama. Le novemila tonnellate della nave Ancon inaugurarono il transito in quello che sarebbe poi diventato un punto nevralgico del commercio mondiale. L’apertura ufficiale arrivò solo nel 1920, quando le ostilità della Grande guerra erano ormai accantonate.

I suoi ottanta chilometri di lunghezza permisero di collegare l’Oceano Atlantico e il Pacifico, evitando alle imbarcazioni di circumnavigare Capo Horn in Sud America e accorciando il loro viaggio di circa ottomila miglia nautiche (quindicimila chilometri), fino a farlo diventare una delle due vie d’acqua artificiali più importanti al mondo, insieme al Canale di Suez. Da Panama oggi passano circa 270 miliardi di dollari di merci all’anno, tra cui il 40% del traffico container statunitense e circa il 5% di tutto il commercio marittimo globale.

Un progetto travagliato

La centralità degli Stati Uniti nel progetto non si limita solo all’attuale traffico di container, ma comprende anche gli sforzi compiuti dal governo di Washington nella realizzazione dell’opera, tra le più impegnative nella storia dell’ingegneria. In precedenza, parecchi attori avevano ipotizzato di lavorare a un canale attraverso l’istmo centroamericano. Già gli Spagnoli nel sedicesimo secolo avevano intuito l’importanza di un passaggio marittimo in queste aree; l’urgenza aumentò a metà dell’Ottocento con la costruzione (da parte degli Stati Uniti) della ferrovia di Panama.

Furono però i francesi i primi a presentare un progetto per realizzare il canale, quando nel 1881 il governo colombiano, che fino a quel momento controllava la regione, fornì una concessione alla Compagnie Universelle du Canal Interocéanique, una società francese guidata da Ferdinand de Lesseps e finanziata da capitali transalpini. Lesseps era un nome familiare all’ingegneria mondiale del tempo: aveva preso parte alla costruzione del Canale di Suez e il suo successo nelle acque egiziane attirò il sostegno dell’opinione pubblica francese per la realizzazione di un progetto che sembrava più o meno simile.

Lesseps però non conosceva le particolari condizioni di Panama o non era disposto a riconoscere che erano molto diverse da quelle di Suez. A differenza dell’arido deserto dell’Istmo nordafricano, Panama ospitava una giungla tropicale, con piogge abbondanti, caldo, umidità e malattie tropicali. Fu coinvolto anche Gustave Eiffel, il cui nome è legato a doppio filo alla torre simbolo di Parigi, e la società finì anche al centro di uno scandalo finanziario. Il progetto francese andò presto in difficoltà e iniziò ad arenarsi, causando migliaia di vittime (si stima che i morti siano stati 22mila) e aprendo la strada all’intervento statunitense. Washington iniziò i lavori nel 1904, non prima di aver riconosciuto l’indipendenza del territorio dalla Colombia: quando i negoziati tra il Paese sudamericano e gli Stati Uniti si interruppero, Panama, con l’implicito appoggio della Casa Bianca, dichiarò la propria indipendenza. Risolvere la diatriba politica però era solo il primo passo e c’erano da superare tutte le sfide umanitarie, ambientali e tecniche, tra cui l’abbassamento del livello dello scavo.

Le ombre sui lavori

La quantità di terra e roccia disarcionata dai lavori americani è stata quantificata in 73 milioni di metri cubi, una cifra enorme ottenuta grazie al meglio delle tecnologie dell’epoca: trapani da roccia, tonnellate di dinamite, enormi gru e pale a vapore, draghe e trivelle pneumatiche animavano le giornate di lavoro di migliaia di operai, affaticati dalle temperature dell’istmo, spesso superiori ai trentotto gradi. Nello scenario panamense si alternavano piogge torrenziali, temperature elevate, superfici fangose e giungle infestate da serpenti.

Fonte : Wired