Piracy Shield, la piattaforma nazionale anti-pirateria, continua a bloccare siti “innocui”

Aumenta il conto dei danni collaterali di Piracy Shield, la piattaforma nazionale per bloccare in automatico in 30 minuti lo streaming pirata di partite di calcio. Nelle intenzioni dei promotori, la Lega calcio Serie A e l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom, che l’ha in gestione), il sistema dovrebbe abbattere solo i siti che trasmettono senza autorizzazione eventi sportivi in diretta. Ma, alla prova dei fatti, nei 3.212 blocchi compiuti da Piracy Shield dal lancio, il primo febbraio, sono finite anche risorse di rete che nulla hanno a che fare con la pirateria online. La loro colpa? Condividere l’indirizzo Ip con i siti nel mirino di Agcom. E nelle scorse su Github, piattaforma dove sviluppatori e ingegneri condividono e pubblicano il codice dei loro software, è comparso un profilo che rivendica di aver pubblicato il codice sorgente della piattaforma. Un fendente all’immagine di sicurezza granitica dietro cui si trincera l’autorità quando fa riferimento a Piracy Shield. Sono in corso verifiche sulla veridicità del contenuto ma, al momento, non sono pervenute smentite.

In due mesi l’attività di Piracy Shield, che conta 309 operatori di servizi internet e cinque titolari di diritti (Sky, Dazn, Rti-Mediaset, Lega calcio Serie A e Serie B), ha sollevato una serie di critiche per le modalità operative. Specie per aver asfaltato una serie di siti che non stavano trasmettendo dirette di eventi sportivi senza autorizzazione. E quindi che non sarebbero dovuti finire nel mirino della piattaforma anti-pirateria. Ciononostante, l’Authority fa spallucce. In un recente intervento in audizione alla Camera, il presidente di Agcom, Giacomo Lasorella, ha dichiarato: “Io non vorrei minimizzare le preoccupazioni per carità del tutto legittime del rischio di buttare giù anche altri siti oltre a quelli pirata, però intenderei rassicurare sul fatto che finora non è stato fatto. C’è stato un unico caso tra virgolette controverso. Su 3.000 non è stato mai fatto quindi non è un dato da poco. Finora abbiamo buttato giù soltanto i siti univocamente dedicati a questo”, cioè alla pirateria.

Il problema degli indirizzi Ip

Peccato che non ci sia stato un unico caso. In più occasioni Piracy Shield, che si attiva in automatico dopo il caricamento degli indirizzi Ip da oscurare con pochi secondi per correggere eventuali errori, ha colpito siti “innocui”. Tanto che Cloudflare, multinazionale statunitense dei servizi di content delivery network (cdn, le reti di server che accelerano il caricamento delle pagine web scegliendo il più vicino all’utente) e della sicurezza in cloud, ha scritto ai gestori dei siti oscurati senza motivo da Piracy Shield il 24 febbraio, spiegando loro come far ricorso. Con il rischio che la lotta alla pirateria si trasformi in una montagna di carte bollate.

Il problema risiede nel modo in cui Piracy Shield è stata progettata. Un disegno che sembra assumere forma e struttura di internet siano ancora quelle di oltre un decennio fa, quando era più probabile che a un indirizzo Ip corrispondesse un singolo dominio (ma anche allora era probabile, non certo). Per usare una metafora, è come ipotizzare che a un indirizzo Ip corrisponda il portone di una singola abitazione. Per l’evoluzione dell’architettura di internet, che punta a ottimizzare e proteggere i domini da attacchi esterni, un indirizzo Ip oggi corrisponde nella gran parte dei casi a un’intera strada di condomini.

Fonte : Wired