Digital markets act, l’Europa ha una bella gatta da pelare

Da qualche giorno Facebook chiede se, per usare Messenger, gli utenti vogliono creare un profilo dedicato. Motivo? “Modifiche legislative nella tua area geografica”. Leggi Digital markets act (Dma), il regolamento europeo sui mercati digitali, che dal 7 marzo diventa legge per sei grandi piattaforme, Alphabet (la holding di Google), Amazon, Apple, Meta (che possiede Facebook, Instagram e Whatsapp), Bytedance (la casa madre di TikTok) e Microsoft, e per 22 dei loro servizi.

Cosa succede con il Dma

Identificati lo scorso settembre come gatekeeper (i guardiani), etichetta sotto cui ricadono aziende con una capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro, 7,5 miliardi di fatturato annuo, e almeno 45 milioni utenti attivi al mese e 100mila all’anno in ambito business, questi colossi del web sono tenuti a rispettare una serie di norme con cui Bruxelles intende controbilanciare il loro primato sul mercato. Per esempio, rendere interoperabili alcuni servizi con quelli di altri operatori. O consentire di disinstillare app già caricate di default su un dispositivo. O, ancora, condividere i dati raccolti sulla propria piattaforma con piccole e medie imprese.

Dal 7 marzo 2024 i 6 gatekeeper devono adeguare al Digital markets act 22 servizi di loro proprietà, considerati il “nucleo” (core) della loro attività. Sono TikTok, Facebook, Instagram, LinkedIn per l’area social network; Whatsapp e Messenger per la messaggistica; Youtube in quella video, Google Search sotto il campo ricerca, Chrome e Safari in ambito browser. Google, Amazon e Meta sono i servizi “core” il segmento pubblicità, Android, iOS e Windows nei sistemi operativi, mentre nel campo dell’intermediazione e dell’ecommerce si contano Google Maps, Google Play, Google Shopping, Amazon Marketplace, App store di Apple e Meta Marketplace. Al momento sono esclusi iMessage di Apple e Bing, Edge e Microsoft Advertising per il colosso di Redmond, mentre TikTok ha fatto ricorso. Le multe arrivano al 10% del fatturato mondiale annuo. E fino al 20% se l’azienda insiste nella violazione. Il raggio d’azione sembra destinato ad allargarsi: X, l’ex Twitter, e Booking, il più importante sito di prenotazione di alberghi, hanno numeri che li potrebbero far ricadere sotto la definizione di gatekeeper.

La scelta di Meta

Le big tech hanno iniziato a fare i compiti a casa. Non esiste, però, una formula unica. Nel caso di Meta, per esempio, a fine gennaio ha anticipato le notifiche degli ultimi giorni. Nel caso del colosso di Mark Zuckerberg, il Dma pone tre problemi. Primo: la connessione dei profili tra una piattaforma e l’altra, come Facebook e Instagram e Facebook e Messenger. Gli utenti potranno decidere se mantenerla, acconsentendo allo scambio di informazioni personali tra i social, o se segregare le piattaforme, creando nuovi account dedicati.

Secondo: differenze nel servizio. Nel caso di Marketplace, per esempio, dividere i profili comporterà che i contatti tra venditori e acquirenti avverrano via email e non più via Messenger, mentre nel caso di Gaming si potrà giocare solo ad alcuni videogiochi. Il senso è chiaro: se rinunci allo scambio di dati, che per Meta vuol dire una profilazione più approfondita dal punto di vista pubblicitario, devi rinunciare ad alcuni servizi. La strategia fa il paio con la nuova versione senza pubblicità di Instagram e Facebook, che prevede un abbonamento da 251,88 euro. A metà febbraio 28 organizzazioni a tutela dei diritti digitali hanno esortato il Consiglio dei garanti della privacy dell’Unione europea a esprimersi contro, onde evitare che pagare per la riservatezza dei dati personali diventi una prassi del settore.

Fonte : Wired