Gaza, il gelato di Biden e la zona d’interesse

“Vuoi sentire il profumo delle rose?” La madre si piega col suo bimbo tra le braccia, in direzione dei fiori; intorno a lei svetta un alto muro in cemento, sormontato dal filo spinato. Al di là, celato allo sguardo, c’è l’aldilà della barbarie umana: il campo di sterminio. È la scena dove si svolge “La zona d’interesse”, il film di Jonathan Glazer candidato a cinque premi oscar, che racconta la vita di Rudolf Höß (il comandante di Auschwitz), di sua moglie Hedwig e dei loro giovani figli. Davanti alla cinepresa, scorre la quotidianità di una famiglia borghese, all’interno di una villetta con piscina costruita a pochi metri dalle camere a gas, dai forni crematori (è realmente esistita e il film la riproduce fedelmente). Nulla viene però mostrato, dello sterminio: si sentono gli spari, le urla di sottofondo, i cani che abbaiano, il continuo (e mostruoso) ronzio dei forni e i bagliori delle loro fiammate, ma davanti agli occhi scorre la normalità della vita di ogni giorno, di chi sta dalla parte benevola del muro. La colonna sonora della disperazione che giunge dal lager è così maledettamente vicina e, allo stesso tempo, così emotivamente estranea, da diventare superficie, metafora della banalità del male descritta da Hannah Arendt: “Quel che ora penso veramente è che il male non sia mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca – scriveva la filosofa tedesca –. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità”.

Le “zone d’interesse” sono realmente esistite: è il termine burocratico con cui i nazisti indicavano l’area di 40 chilometri quadrati che circondava i lager. Guardando il film – e quell’onnipresente muro calato come un sipario sull’orrore – il mio pensiero non poteva non accostarlo alle immagini che, negli ultimi 5 mesi, stanno arrivando dalla Striscia di Gaza. Anche in questo enorme campo di concentramento, da cui è impossibile scappare, la vita ha perso ogni minimo valore, appesa all’arbitrarietà di una bomba, allo spietato sguardo di un cecchino. Basta trovarsi nello stesso palazzo di un soldato di Hamas, ed ecco un’intera famiglia sterminata da un ordigno termobarico; il macabro conto è salito a 30mila morti, dei quali 12mila bambini, che adesso iniziano anche a morire di fame – soprattutto a nord della Striscia, dove incombe la carestia. Ieri, nel 145esimo giorno di guerra, a Gaza City l’ennesima strage: l’esercito israeliano ha sparato sulla folla accalcata intorno a trenta camion carichi di farina. Persone affamate e disperate, aspettavano gli aiuti ormai da mesi: oltre 110 morti e 700 feriti. 

Mi chiedevo, allora, mentre sedevo in sala e vedevo i bimbi della famiglia Höß sguazzare nella piscina o fare un picnic sulla sponda di un fiume: qual è la “zona d’interesse” intorno alla Striscia di Gaza? Sia fisicamente, e mi immaginavo gli abitanti di Tel Aviv nei locali della vita notturna, bere e ballare quando a 70 chilometri di distanza è in corso un genocidio. Sia spiritualmente, e allora ho visto la linea di demarcazione ampliarsi a dismisura e mi sono visto anch’io al suo interno, col telefono in mano, e il mio muro era il movimento del pollice che striscia sullo schermo verso l’alto, facendo sparire dai miei occhi l’ennesimo video di corpi fatti a brandelli, di cadaveri di bambini avvolti in bianchi sudari. Nell’epoca di smartphone e social media, la zona d’interesse si è estesa fino a coprire il mondo intero; ora anche la nostra quotidianità ha come sottofondo la colonna sonora di una carneficina. 

Così, sempre dalla parte benevola del muro, portiamo avanti la vita come se nulla fosse. Il male rimane nella superficie di uno schermo, dove guardiamo Joe Biden dire ai giornalisti “spero che arriverà il cessate il fuoco entro lunedì prossimo”, leccando felice un gelato alla vaniglia. Intanto, i figli di Rudolf Höß fanno un altro tuffo in piscina.

Fonte : Today