Google: ha senso pagare Gemini, la sua AI?

Non è da escludere che in futuro gli annunci pubblicitari diventino lo standard nei chatbot o negli assistenti virtuali, riducendo la necessità di vendere abbonamenti. E Google potrebbe combinare le due cose: il gigante di Mountain View – come anche Microsoft – sta sperimentando l’inserimento di annunci pubblicitari nei suggerimenti per gli acquisti e nei consigli sui prodotti generati dai chatbot o da altri sistemi di intelligenza artificiale.

Ma Google e gli altri colossi tech potrebbero anche pensare che il settore degli annunci pubblicitari sia ormai sempre più obsoleto e troppo regolamentato, soprattutto quando alcune aziende riescono a convincere i consumatori a sottoscrivere abbonamenti con considerevoli margini di profitto.

Negli ultimi anni, per esempio, Apple ha sviluppato in modo aggressivo il business attorno i sui servizi e l’anno scorso ha introdotto un piano da 60 dollari al mese che offre 12 terabyte di storage iCloud, raggiungendo nuovi clienti. OpenAI ha convinto così tante persone a pagare per l’accesso a ChatGPT Plus che l’anno scorso ha dovuto sospendere temporaneamente le vendite per recuperare la sua capacità di calcolo. GitHub Copilot, l’assistente di programmazione di Microsoft, ha chiuso il 2023 con oltre 1,3 milioni di abbonati, con un aumento del 30% rispetto al trimestre precedente.

Dalla sua, Google ha scoperto che può attirare nuovi iscritti aggiungendo a Google One opzioni avanzate di photo editing. “Queste funzioni sono state accolte molto bene dal mercato e hanno portato a un notevole utilizzo di Google One“, afferma Ben-Yair. L’introduzione di servizi a pagamento si sta dimostrando talmente efficace da spingere Google a modificare la propria strategia per decidere cosa sviluppare. “Se una cosa è abbastanza buona da indurre gli abbonati a pagare, allora possiamo dire: ‘Bene, costruiamo più cose interessanti per le persone e per le quali sono disposte a pagare’”, dice Ben-Yair. Ma ci sono ancora miliardi di persone che utilizzano i prodotti di Google senza pagare e l’azienda si impegna a mantenere le versioni di base dei suoi servizi gratuite: “Il punto è offrire agli utenti la possibilità di scegliere“, continua Ben-Yair.

Col tempo però Ben-Yair si aspetta che gli abbonamenti a Google One diventino sempre più allettanti, grazie alla collaborazione del suo team con partner esterni e le altre divisioni di Google. “Finora ci siamo concentrati per lo più su offerte separate – spiega la responsabile di Google One –. Ma non faccio fatica a immaginare un numero maggiore di collaborazioni tra prodotti diversi per le persone che vogliono usufruire di più abbonamenti“.

Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.

Fonte : Wired