Giovanni Allevi, il monologo tra le lacrime: “La diagnosi pesantissima, ho perso lavoro e capelli ma non la speranza”

Un monologo intenso e tra le lacrime quello di Giovanni Allevi a Sanremo. A due anni dall’assenza dalle scene per un mieloma, il pianista torna a mostrarsi pubblicamente sul palco dell’Ariston. Prima un lungo monologo rivolto al pubblico, un vero e proprio inno alla vita, poi la performance sulle note di “Tomorrow”, “perché domani ci sia per tutti noi un giorno migliore per attenderci”. Di seguito il testo completo di quanto dichiarato da Allevi. 

“All’improvviso mi è crollato tutto”, ha esordito Allevi ricordando il momento in cui ha scoperto la malattia. “Non suono più il piano davanti a un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto a Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi pesantissima, ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la mia speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio”

“Non molto tempo fa, prima di tutto questo, durante un concerto ho notato una poltrona vuota: mi sono sentito mancare”, ha proseguito. “Eppure agli inizi suonavo di fronte a venti persone ed ero felicissimo. Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone. I numeri non contano. Sembra paradossale detto da qui, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito”. 

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“Un altro dono”, ha detto ancora. “La gratitudine nei confronti della bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d’ospedale. Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto, e con le nuvolette intorno è ancora più bello. Un altro dono è la gratitudine di tutto il personale ospedaliero, la riconoscenza per la ricerca scientifica, per il sostegno che ricevo dalla mia famiglia, per la forza, l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri, così li chiamo. Magari cerchiamo un altro termine ma non mi viene in mente niente. E lo sono anche i familiari, anche i genitori. I genitori dei piccoli guerrieri”. 

Poi si è rivolto ai malati e ai familiari che stanno lottando con loro, ha allargato le braccia quasi a tenerli per mano e ha detto: “Ora, come promesso, vi ho portato tutti qui sul palco. Esempio di vita autentica. Prima di andare all’ultimo dono, facciamo loro un applauso”. 

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Infine l’ultimo dono. “Ancora un dono. Ma quanti sono?”, ha aggiunto ancora. “Quando tutto crolla e resta solo l’essenziale, il giudizio dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono e noi quel che siamo. Il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso nel mutamento ma comunque sento che in me c’è qualcosa che permane. Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Se le cose sono davvero così, che cosa mai sarà il giudizio esterno. Io voglio accettare il nuovo Giovanni”. A questo punto Giovanni ha tolto la parrucca per mostrare i capelli imbiancati dalle cure per la prima volta. Poi una esclamazione: “Com ‘è liberatorio essere se stessi”. 

A questo punto Allevi si è seduto al piano, ma prima una battuta ironica, pur nel dolore: “Attenzione però, ho due vertebre fratturate. E ho tremore e formicolio alle dita. Ma come dissi in quell’ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima”. 

Fonte : Today