Dischi, la collezione più grande del mondo non ha più un posto dove stare

I cataloghi Kindle, le raccolte di canzoni in streaming su Spotify e Apple Music, la moltitudine di film e serie tv su Netflix, Prime video e Disney+: ormai non esiste più niente in formato fisico. Gli archivi culturali vivono ormai su server farm, e il valore dei supporti fisici è in continuo mutamento. Nonostante sfogliare un libro o possedere i dvd della propria serie preferita continui ad avere il suo perché, i problemi logistici legati alla conservazione di enormi archivi sembrano insormontabili. Per questo oggi, molti show, fumetti e album non vengono nemmeno pubblicati in Blu-ray, in edizioni rilegate o sotto forma di lp. Mentre i supporti fisici fanno i conti con un futuro sempre più incerto, i loro difensori fanno tutto il possibile per proteggere quella che considerano una risorsa inestimabile. L’esempio più evidente arriva dall’ARChive of Contemporary Music (Arc), un’associazione no-profit di New York che ospita la più grande collezione di musica popolare su vinile al mondo.

Con oltre tre milioni di pezzi – tra cui anche le collezioni personali del chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards, dell’uomo d’affari Zero Freitas, dello scomparso regista Jonathan Demme e del fondatore dell’etichetta A-Square Record Jeep Holland – l’Arc possiede un’impressionante varietà di dischi, da Lp autografati a 78 giri dedicati a blues, musica brasiliana o ritmi di Haiti. L’associazione ospita anche dischi, libri e documenti di icone della musica come David Byrne e il giornalista Jon Pareles, e si dice abbia anche alcune delle più grandi collezioni al mondo di musica punk, jazz, country, folk, hip hop e sperimentale. Nel tempo l’Arc è diventata una risorsa importante per i ricercatori che si occupano di storia della musica e patrimoni culturali, ma oggi è in pericolo.

Custodire la storia della musica

Creato a New York a metà degli anni Ottanta da B. George e David Wheeler, in origine l’Arc è stato pensato come un modo per aiutare a preservare l’eredità di un’industria che all’epoca non era riuscita a tenere traccia della propria storia. In molti casi infatti le registrazioni delle sessioni si deterioravano e scomparivano, le copie private degli lp finivano nelle collezioni personali per non riapparire mai più, e interi cataloghi andavano persi in cantine ammuffite. Nel tempo però l’Arc è cresciuto, saturando gli spazi che occupava. Tre anni fa l’archivio è approdato in uno spazio commerciale privato a nord dello stato di New York, di proprietà dell’albergatore André Balazs. Ora l’associazione ha dichiarato che dovrà lasciare l’edificio – noto come “The Piggery” – perché, all’insaputa della no-profit e di Balazs, il palazzo è stato destinato all’uso agricolo, una designazione che non può essere modificata. L’Arc ha già ricevuto una donazione di un milione di dollari da uno storico sostenitore per trasferire l’archivio in un nuovo spazio, ma per il momento nessun altro si è fatto avanti per contribuire.

B. George, artista e fondatore di un’etichetta discografica che ha usato la sua collezione di 47mila dischi per fondare l’Arc, afferma che l’organizzazione sta cercando un benefattore come James Smithson, che nell’Ottocento donò l’equivalente di 500mila dollari agli Stati Uniti per fondare il museo Smithsonian, pur non avendo mai visitato il paese. L’Arc ha bisogno di qualcuno “che possa capire il valore di ciò che stiamo facendo e abbia la lungimiranza di spingere l’America a fare qualcosa che avrebbe dovuto fare da sempre“. Diversi musicisti condividono l’entusiasmo di B. George: “Nessun’altra organizzazione fa quello che fa l’Arc“, sostiene il frontman dei B-52 Fred Schneider, che siede nel consiglio di amministrazione dell’istituzione insieme a Richards, Nile Rodgers, Todd Rundgren, Martin Scorsese e Paul Simon. Schneider, che è un “appassionato di dischi da tutta la vita“, aggiunge che parte del valore dell’Arc è legato alle cose che non si trovano sui servizi di streaming. “Probabilmente il 90% della musica registrata non arriverà mai sui servizi di streaming. Gran parte della grande musica che si trova su cd quasi certamente non li raggiungerà mai”, spiega.

Il valore degli archivi fisici

George indica i Beatles come esempio. Ci sono voluti anni prima che la musica dei Fab Four venisse pubblicata su Apple Music (che allora si chiamava ancora iTunes), mentre diversi artisti sono stati coinvolti in dispute legate ai diritti di distribuzione. La musica registrata “è un bene che si compra e si vende, e quindi chi la possiede ha la possibilità di renderla disponibile – spiega George –, noi cerchiamo solo di offrire uno spazio dove a prescindere da qualsiasi circostanza, quella musica possa essere ancora disponibile almeno per gli studiosi“. Sebbene l’Arc abbia digitalizzato almeno una parte della sua collezione attraverso l’Internet archive, George sottolinea i limiti intrinseci alla conversione in digitale della musica: “Le persone scaricano una canzone, ma non sanno di quale versione si tratta – spiega –. Prendiamo per esempio Love Supreme di John Coltrane. Ci sono molte versioni e se non si conosce il contesto o l’album in cui è contenuta, è un problema. Online, molte di queste informazioni sono molto nascoste o semplicemente non ci sono”.

Fonte : Wired