Seoul, Corte Suprema impone a Tokyo il risarcimento dei lavoratori forzati

Conferma in via definitiva la sentenza che impone alle aziende giapponesi che hanno sfruttato la manodopera durante l’occupazione coloniale di risarcire in modo diretto i lavoratori o i loro famigliari. La sentenza indebolisce l’intesa del marzo 2023 sull’ipotesi di un fondo per i risarcimenti su base volontaria. Una ferita del passato che pesa sul riavvicinamento tra Giappone e Corea del Sud sulla sicurezza, in chiave anti-Pyongyang

Seoul (AsiaNews/Agenzie) – La Corte Suprema della Corea del Sud ha confermato oggi le decisioni dei tribunali di grado inferiore che ordinavano al produttore di acciaio giapponese Nippon Steel Corp e ad altre due aziende giapponesi di risarcire i sudcoreani impiegati con lavoro forzato durante la seconda guerra mondiale e il periodo del dominio coloniale nipponico della penisola.

Il verdetto pone nuove incognite sul processo di risanamento delle relazioni tra Giappone e Corea del Sud attualmente in corso. In particolare segna una battuta d’arresto per il piano – annunciato nel marzo dello scorso anno – che prevedeva la creazione di fondo di riparazione su cui Tokyo e le aziende interessate avrebbero versato quanto stabilito come risarcimento per le vittime. Proprio il carattere di donazione su base volontaria era infatti la questione su cui la Corte Suprema di Seoul è stata chimata a pronunciarsi.

Complessivamente sarebbero circa 780 mila i coreani che furono costretti ai lavori forzati dal Giappone durante i 35 anni (1910-1945) di occupazione, secondo i dati di Seoul, e in quel periodo oltre 200 mila giovani donne sarebbero state costrette alla schiavitù sessuale dalle truppe nipponiche. La risposta di Tokyo è sempre stata che tutte le questioni derivanti dalla colonizzazione della penisola coreana sono state risolte “completamente e definitivamente”, inclusi i risarcimenti, nel 1965 con l’“Accordo sulla risoluzione dei problemi riguardanti le proprietà e le rivendicazioni e sulla cooperazione economica”. Il Giappone allora trasferì a Seoul 800 milioni di dollari tra sovvenzioni e prestiti agevolati. Questi fondi sono stati presentati alle rispettive popolazioni in termini di “assistenza economica” e non hanno mai raggiunto le vittime perché sono stati dirottati dal governo autoritario di Park Chung-hee (1961-79) nei progetti di industrializzazione e sviluppo economico del Paese.

Nel 2018, sempre la Corte Suprema coreana aveva ritenuto che l’Accordo del 1965 non avesse estinto il diritto dei singoli a presentare richieste di risarcimento nei confronti delle aziende giapponesi. Su queste basi ha stabilito per ciascun ricorrente un risarcimento pari a circa 88.700 dollari. Il governo di Tokyo guidato dall’allora premier Shinzo Abe aveva però chiesto alle società giapponesi di non osservare il verdetto e nel luglio 2019 il Giappone aveva escluso la Corea del Sud dalla lista di partner commerciali privilegiati introducendo ispezioni più severe sull’esportazione di tre sostanze chimiche di cui Tokyo controlla il 90% del totale mondiale e che costituiscono le materie fondamentali per alcuni settori dell’economia sudcoreana dei semiconduttori. 

I rapporti economici e politici che Corea del Sud e Giappone stanno ricostruendo dal ritorno alla presidenza dei conservatori in Corea del Sud nel 2022 e con la mediazione degli Stati Uniti, soprattutto in chiave di prevenzione delle minacce provenienti dalla Corea del Nord, avevano portato nel marzo 2023 all’annuncio di un’intesa per risolvere la questione: la Corea del Sud ha creato una fondazione attraverso cui compensare le vittime a cui la Corte suprema ha riconosciuto il diritto alle riparazioni e a cui la controparte giapponese avrebbe fornito un contributo una tantum. Ma questa soluzione – come prevedibile – ha suscitato critiche da parte della società civile sudcoreana: l’ala progressista l’ha definita come l’ennesimo esempio della “diplomazia umiliante” di Seoul verso Tokyo. Di qui il nuovo ricorso alla Corte Suprema dei familiari di un sudcoreano, morto nel 2012, che fu mobilitato per lavorare in pessime condizioni in una fabbrica dell’acciaieria durante la seconda guerra mondiale e non sarebbe mai stato risarcito. Ricorso vinto oggi e che fa venir meno l’efficacia del fondo approvato da Seoul nel marzo dello scorso anno.

Nella foto: i querelanti a Seoul che chiedono di pagare i danni per il lavoro svolto in tempo di guerra, mentre si dirigono alla Corte Suprema

Fonte : Asia