La lingua russa vittima collaterale della guerra ibrida

Da 30 anni è in costante diminuzione l’uso della lingua al di fuori dei confini nazionali. Un elemento che contrasta col tentativo di rilancio dell’ideologia nei Paesi ex sovietici (e oltre). Da Mosca l’accusa di attacco alla “cultura russa”. Una difesa che non è nostalgia dei tempi sovietici, ma per “difendere la Russia multinazionale e il dialogo tra i Paesi veramente liberi”.

Mosca (AsiaNews) – L’uso della lingua russa al di fuori dei confini nazionali sta costantemente diminuendo da oltre trent’anni, dopo la fine della guerra fredda. Questo diventa sempre più un problema a fronte del rilancio dell’ideologia del russkij mir, che presuppone una unione sempre più vasta tra le persone e i popoli che sentono la Russia come il Paese capace di prendersi cura delle attese morali, religiose e sociali in tutti i continenti.

Non solo, ma come conseguenza del conflitto in Ucraina, e di altre situazioni di crisi in cui la Russia è coinvolta, da molte parti si cerca di screditare, sostituire e “decolonizzare” anche molte aree in cui il russo è ancora ampiamente diffuso. A questo di deve aggiungere il processo di decrescita demografica della stessa Russia, che ha sempre meno possibilità di spargere ovunque la presenza dei propri concittadini.

Come ha detto in questi giorni il vice-presidente della Duma di Stato, Petr Tolstoj, discendente del grande scrittore di fine Ottocento, “la lingua russa deve diventare la lingua della comunicazione tra le nazioni di tutte le ex-repubbliche sovietiche”. Oggi in questo senso rimangono più attaccate al passato linguistico comune solo Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan, mentre Armenia, Uzbekistan, Tagikistan e gli altri Paesi post-sovietici stanno ormai abbandonando sempre più l’uso del russo. Secondo Tolstoj, “in tutti i Paesi dai quali provengono centinaia di migliaia di migranti, bisogna aprire scuole di lingua russa”, rinnovando il sistema di integrazione distrutto negli anni ‘90.

Secondo il parlamentare questo dovrebbe avvenire a spese degli Stati da cui arrivano in Russia i migranti lavorativi, usando parte dei guadagni che essi inviano alle loro famiglie in patria. Lo stesso governo di Mosca ha messo in campo diverse iniziative per sostenere l’apertura delle scuole russofone in Asia centrale e in altri Paesi. La lingua russa è considerata alla pari di quella locale in Bielorussia e Ossezia del Sud, mentre in Kirghizistan, Abkhazia e Kazakistan è uno degli idiomi ufficiali, con alcune limitazioni. Il russo è ammesso come lingua fruibile per alcune funzioni pubbliche in Tagikistan, Israele e perfino in alcuni Stati degli Usa e in alcune regioni dell’Australia.

Il numero dei russi residenti all’estero si calcola tra i 30 e i 40 milioni, soprattutto negli Stati centrasiatici come il Kazakistan (5 milioni e 800mila), Uzbekistan (2 milioni 420mila), Stati Uniti (850mila), Tagikistan (580mila), Turkmenistan (530mila), Brasile (70mila) e Canada (60mila). Nella recente riunione dei leader della Csi a Biškek, il presidente Vladimir Putin ha annunciato che a Soči verrà aperta una “Associazione internazionale per la lingua russa”; essa avrà il compito di diffondere il russo nel mondo intero “come importantissimo elemento di consolidamento di tutto lo spazio post-sovietico, e strumento di comunicazione internazionale”.

Secondo i russi l’attualità del ruolo della lingua russa a livello globale viene confermata dalla strategia dell’Occidente di “guerra ibrida mondiale contro la cultura russa”, come afferma Tolstoj; una strategia che mira a usare tutti i mezzi dello spazio informativo per alimentare il “caos controllabile” con cui ottenere “lacerazioni nel campo della sicurezza linguistica” della Russia. Gli algoritmi di questo modello ibrido agiscono nella sfera informatica, secondo questa tesi, per “controllare da dietro le quinte l’ambito della cultura e delle visioni del mondo”. L’obiettivo è di portare le masse a un disorientamento e a un rilassamento, fino “alla distruzione dei valori tradizionali, morali e spirituali, del popolo russo e dei popoli ad esso legati”. Questi processi sarebbero molto evidenti nei Paesi coinvolti nel conflitto attuale come Ucraina e Moldavia, ma anche nei Baltici e nel Caucaso e perfino in un Paese amico dei russi come la Serbia.

La difesa della lingua russa serve quindi non a tornare ai tempi sovietici, ma “a difendere la Russia multinazionale e il dialogo tra i Paesi veramente liberi”.

Fonte : Asia