Con banane o con carne di serpente e zebra. Ecco le “Pizzerie degli Orrori”

AGI – Dall’ananas alle banane fino alla carne di canguro, zebra, serpenti e grilli. Ma c’è anche quella con il pollo tandoori, che è marinato nello yogurt, o a quella aromatizzata con la cannabis.

Non c’è pace per la vera pizza Made in Italy, e all’estero se ne offrono varianti che fanno orrore. Un italiano su 3 (36%) in viaggio si è scontrato con le versioni più improbabili e i condimenti più bizzarri. È quanto emerge dall’analisi Coldiretti/Ipsos in occasione dell’apertura della prima Pizzeria degli Orrori al Villaggio della Coldiretti a Napoli in piazza Municipio, allestito nell’anniversario dell’inserimento nella lista Unesco del patrimonio dell’umanità, il 7 dicembre 2017, dell’alimento più celebre al mondo.

Un appuntamento per celebrare il piatto più conosciuto della tradizione italiana, ma anche per mostrare e denunciare proprio con la Pizzeria degli Orrori gli scempi che si trovano dalle Americhe all’Asia, dall’Africa all’Australia in Oceania fino all’Europa dove le varianti più insolite si trovano nei paesi del Nord, secondo l’analisi della Coldiretti presentata dal presidente Ettore Prandini insieme a migliaia di agricoltori e cittadini.

Il giro del mondo degli “orrori”

In Asia il record del disgusto, evidenzia Coldiretti,- spetta alla pizza al serpente di Hong Kong con carne di rettile. Secondo un proverbio cantonese, il momento migliore per mangiare i serpenti è “quando comincia a soffiare il vento autunnale”, quando ingrassano per il letargo. Chi la consuma è convinto che la carne di serpente abbia proprietà medicinali, migliori le condizioni della pelle e riscaldi il corpo. Ma una cultura gastronomia basata sui serpenti è comune anche in altre parti del sud-est asiatico, come il Vietnam e la Thailandia dove si fa pure largo uso alimentare di grilli e altri insetti anche sulla pizza.

In Oceania, e più precisamente in Australia, si possono trovare pizze con la carne di canguro, di coccodrillo o di struzzo, ma anche cosparse di cannabis, condimento che ha mandato quest’anno in ospedale un’intera famiglia.

Negli Stati Uniti è diffusa la presenza del Parmesan, il tarocco del vero Parmigiano e del vero Grana, abbinato al pollo sulla pizza, e la pizza hawaiana con l’ananas è un ormai un classico degli orrori Made in Usa inserito in molti menù di catene del food. L’ultima nata negli States è la pizza con i maccheroni al formaggio.

In Sud Africa si trova la pizza con le banane arricchita da diversi condimenti ma anche quella con la carne di zebra.

Anche il vecchio continente ci mette il suo. In Portogallo preparano la pizza con il baccalà e le uova sode; in Svezia il topping non disdegna tacchino e miele, frutta in scatola e cioccolato, polpette e anche dell’insalata di cavolo cappuccio; in Olanda c’è la pizza con kebab.
Senza latitudine l’uso del ketchup al posto del pomodoro e quello dei formaggi più disparati, dai falsi italiani al cheddar anglosassone, piuttosto che di mozzarella o fiordilatte.

Quanti italiani sono rimasti delusi mangiando la pizza all’estero?

Fra gli italiani che si sono “scottati” con la pizza all’estero, il 14%, secondo l’indagine Coldiretti/Ipsos, ha dichiarato di essere rimasto molto deluso, mentre un altro 22% si è detto abbastanza scontento. Una quota del 26% non si è fidata e non ha mai mangiato la pizza all’estero, ma non manca neppure un 6% invece di entusiasti e un 20% a cui è piaciuta abbastanza.

La delusione per le pizze all’estero riguarda diversi aspetti: al primo posto l’impasto (52%), al secondo il sapore (48%) e al terzo il tipo di ingredienti utilizzati (36%) considerata anche le stranezze diffuse fuori dai confini italiani. Ma tra i motivi di delusione ci sono anche la combinazione insolita degli ingredienti (34%), la cottura errata (30%), il costo elevato (25%), la preparazione (24%) e la scarsa digeribilità (23%).

La vera Pizza, patrimonio dell’Unesco

L’arte tradizionale del pizzaiolo napoletano è stata riconosciuta dall’Unesco come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali la preparazione dell’impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo con la pala e la cottura nel forno a legna.

“Garantire l’autenticità della ricetta e dell’arte della preparazione significa anche difendere un piatto che è parte integrante della nostra tradizione a tavola minacciata nel mondo dalla diffusione di falsi prodotti Made in Italy che hanno raggiunto l’astronomica cifra di 120 miliardi di euro, praticamente il doppio delle nostre esportazioni, sottraendo posti di lavoro e crescita all’Italia”, sottolinea Prandini.

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Fonte : Agi