Bruciati in Superbonus 10 mesi di salute: ora il medico rifiuta gli esami

Ci racconta una lettrice: “Non trovando una spiegazione ai valori alterati del mio sangue, l’oncologo per scrupolo mi ha prescritto una serie di marker tumorali. Mi sono quindi rivolta al medico di famiglia per la ricetta e lui si è rifiutato di farla. Dice che sono troppo costosi per il servizio sanitario nazionale, che i marker non sono sempre affidabili per stabilire una diagnosi e che se proprio voglio fare questi esami, posso rivolgermi a un laboratorio privato. Devo credere allo specialista o al medico di famiglia? Comunque ho fatto tutto privatamente: mi sono costati 80 euro”.

A prima vista 80 euro non sono molti per la sanità pubblica, se li confrontiamo con le conseguenze della mancata diagnosi precoce di un tumore. E anche con i costi economici: il ricovero e la degenza in ospedale, l’eventuale intervento chirurgico, i cicli di chemioterapia. Alla fine il Sistema sanitario nazionale spenderebbe decine di migliaia di euro.

Prevenzione a rischio per le lunghe attese

La prevenzione, ovviamente, è sempre meglio della cura. Anche per il portafoglio. Ma con le liste di attesa fuori controllo e i bilanci pubblici sempre più in crisi, lo Stato ha scaricato su ogni singolo medico il ruolo di guardiano della cassa: in questa ottica, la prevenzione sanitaria oggi è al di sopra o al di sotto delle possibilità economiche del nostro Paese?

La risposta è piuttosto delicata, se consideriamo la salute degli italiani per fasce d’età. La popolazione sopra i 65 anni è infatti il 23,8 per cento del totale, con la metà che ha più di 75 anni. Una quota in continua crescita che, secondo le previsioni, nel 2050 raggiungerà il 34,9 per cento degli abitanti. Poiché gli anziani sono anche la fascia più fragile della popolazione, quella più esposta a malattie e disabilità, ogni variazione nella disponibilità delle prestazioni e nei tempi può avere conseguenze gravi. Come conferma l’inchiesta di Daniele Tempera su Today.it: “Quando chiamiamo i pazienti in lista d’attesa, spesso sono già morti”, ammette un cardiologo.

Attese lunghe, i pazienti muoiono prima – di Daniele Tempera

Le Regioni, come la Lombardia, limitano la prescrivibilità di esami e farmaci in base a indicazioni nazionali e locali. Le migliori scuole di formazione dei futuri medici di medicina generale sono molto insistenti sull’applicazione delle norme, che però non sono state decise dall’attuale governo di Giorgia Meloni. Risalgono infatti all’intesa Stato-Regioni del 2 luglio 2015, quando l’allora governo di Matteo Renzi aveva posto i primi obiettivi per rendere la spesa sanitaria e l’appropriatezza delle prescrizioni più efficienti. “Al di fuori delle condizioni di erogabilità – stabiliscono da allora le linee guida – le prestazioni sono a totale carico dell’assistito”.

Multe sullo stipendio per le ricette non in regola

I medici che non si adeguano, rischiano di tasca propria: “All’atto della prescrizione – precisa infatti la norma – il medico dovrà riportare sulla ricetta tali indicazioni e il ricettario del Servizio sanitario nazionale non dovrà essere utilizzato per prescrizioni di prestazioni specialistiche in assenza delle condizioni indicate: pena l’applicazione da parte dell’ente, previo accertamento delle motivazioni, di una riduzione economica […]”.

Tutto dipende dall’attività di controllo sulle singole ricette. Ma è molto probabile che le regioni più virtuose siano anche le più severe. E oggi che il governo prevede per il 2024 un miliardo e 788 milioni in meno rispetto al budget della sanità del 2023 (un taglio dell’1,32 per cento), è altrettanto probabile che per far quadrare i conti aumentino le verifiche sui medici.

Pazienti e stress, il consiglio del medico di famiglia

Filippo Viganò ha passato una vita come dottore di famiglia in un paese della Lombardia. È tra i medici di medicina generale che, pur potendo andare in pensione nei mesi più duri della pandemia di covid, hanno rinunciato per non abbandonare il grande numero di pazienti anziani. Poi l’obbligo del congedo è arrivato anche per lui.

“Questo approccio burocratico – spiega Viganò a Today.it – appesantisce in modo esagerato il lavoro del medico di medicina generale e gli toglie il tempo necessario per poter avere un adeguato rapporto di cura con il paziente. Genera ansia prescrittiva e può portare a conflitti con i pazienti, che non possono conoscere le infinite regole che guidano le prescrizioni. Un conto è l’appropriatezza: vale a dire l’esame giusto al momento giusto per il paziente giusto, che deve essere la regola per ogni prescrittore. Un conto sono i limiti generati dal contenimento della spesa o per il raggiungimento degli obiettivi per l’abbattimento delle liste d’attesa. Per questo, occorrerebbe più personale. Ma questa è un’altra storia”.

Così hanno speso in Superbonus 10 mesi di salute

Oltre ai tempi d’attesa interminabili, prepariamoci quindi a sentirci negare esami e visite, anche se sono stati prescritti dallo specialista. Come è accaduto alla nostra lettrice. Se è proprio difficile accettare il fatto che l’ideale di sanità che vorremmo non esiste più, abituiamoci a osservare le facciate dei palazzi: dall’ultimo governo di Giuseppe Conte in poi, l’Italia ha spalmato in cappotti edilizi 109 miliardi (Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, settembre 2023), che ora sono diventati debito pubblico. Un beneficio, bruciato dall’inevitabile aumento dei prezzi di materiali e imprese, che ha riguardato soltanto il 3,5 per cento degli edifici residenziali. Poiché nel 2024 spenderemo in sanità circa 133 miliardi, con il costo del Superbonus avremmo potuto curare da gennaio a ottobre tutti gli italiani.

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Fonte : Today