Il lavoro cambierà per sempre: chi vince e chi perde con l’intelligenza artificiale

La prima prova tecnica di futuro arriva da al di là dell’oceano. Lo scorso 9 novembre si è concluso il primo sciopero contro l’utilizzo, sempre più massiccio, di tecniche di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. Lo hanno portato avanti gli sceneggiatori e gli attori di Hollywood ed è durato oltre tre mesi, un vero e proprio record. Gli attori (prevalentemente comparse) protestavano contro l’utilizzo della loro immagine gratis e “ad Aeternum”. Grazie alle nuove tecnologie, infatti, i loro volti e le loro voci possono oggi essere scansionati, animati da tecniche di intelligenza artificiale e usati a piacimento per rimpiazzare le loro performance in carne ed ossa. Una tecnica simile a quella utilizzata per produrre video “deep fake” che avrebbe però consentito alle major di massimizzare i loro guadagni, lasciando per strada molti lavoratori dello spettacolo. 

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Analogamente gli sceneggiatori hanno protestato contro l’utilizzo, sempre più massiccio, di sistemi di intelligenza artificiale come ChatGPT nel lavoro creativo. Il rischio era che l’A.I. scrivesse o adattasse materiale “umano” coperto da copyright e che le società di produzione utilizzassero massicciamente queste nuove tecnologie per creare copioni originali. Ancora una volta sul piatto c’erano da un lato gli affari delle grandi major, dall’altro la perdita di centinaia di posti di lavoro. La lotta si è conclusa con un accordo che ha visto (al momento) prevalere gran parte delle istanze dei lavoratori dello spettacolo che sono riusciti a strappare anche importanti conquiste contrattuali. È stato il primo assaggio di quello che potrebbe succedere in tutti i settori, da qui a breve. 

300 milioni di posti di lavoro a rischio e Pil globale che si impenna: i possibili effetti 

“L’effetto dell’intelligenza artificiale (IA) sui lavoratori dipende da vari fattori, tra cui il tipo di lavoro svolto, il livello di automazione possibile e la capacità delle persone di adattarsi a nuove tecnologie. L’IA, inclusa ChatGPT, può portare a cambiamenti significativi nel mondo del lavoro, ma non è possibile prevedere con certezza la sostituzione completa dei lavoratori italiani”. Per chiarire i nostri dubbi sull’impatto che l’intelligenza artificiale potrebbe avere sulle nostre vite lavorative abbiamo deciso di rivolgerci direttamente a ChatGPT che ci offre questa  risposta lapidaria e anche vagamente inquietante. L’aggettivo da tenere sott’occhio è “completa”. Che l’A.I. (acronimo che sta per Artificial Intelligence) sostituisca molte professioni è dato per assodato dal chatbot più celebre del momento. Che lo faccia completamente per tutti i lavoratori un domani, ancora non è dato saperlo. 

Sugli effetti di questa rivoluzione è ancora difficile fare previsioni attendibili, ma in molti ci stanno provando. Secondo uno studio di Goldman Sachs, una delle più grandi banchi d’affari del mondo, l’uso dell’intelligenza artificiale metterà presto a rischio 300 milioni di posti di lavoro nel mondo, ma contribuirà all’incremento del Pil mondiale del 7% annuo.

E anche se è presto per avvertire gli effetti concreti di queste previsioni, si cominciano a coglierne le prime avvisaglie. Dall’inizio dell’anno oltre tremila lavoratori americani impiegati nel settore informatico hanno già perso il lavoro, rimpiazzati da sistemi di intelligenza artificiale.

E le dichiarazioni (così come le azioni) dei grandi manager delle Big Tech, lasciano poco spazio a interpretazioni. “Credo che l’A.I. rimpiazzerà quelli che io chiamo lavoratori da colletti bianchi, soprattutto quelli più ripetitivi. Penso che il 30% dei lavori ripetitivi non saranno più a carico di esseri umani nei prossimi 5 anni” ha dichiarato recentemente il Ceo di Microsoft Arvid Krishna. Una dichiarazione che non stona con quello che sta accadendo nella Silicon Valley. Ad aprile 2023  Dropbox, leader mondiale dei servizi di cloud storage e file hosting, ha tagliato circa il 16% del personale. Subito dopo l’azienda americana ha dichiarato di voler investire massicciamente in A.I. 

Dall’automazione industriale a quella dei processi cognitivi: la nuova rivoluzione industriale è alle porte

Da tempo si parla di industria 4.0 e quarta rivoluzione industriale. La sensazione è che l’utilizzo sempre più massiccio di sistemi di intelligenza artificiale daranno forma a un cambiamento epocale che, al momento, è rimasto solo sulla carta. E che il 2023 verrà ricordato come un importante anno di transizione. 

A essere svolti dalle macchine saranno tutta una serie di lavori cognitivi fino a oggi ad appannaggio di esseri umani. Perché se la tendenza verso l’automazione è una costante della storia industriale degli ultimi secoli, la novità è una. La distinzione fondamentale tra l’intelligenza artificiale e le tecnologie precedenti è che l’A.I. è in grado di automatizzare attività non di routine. Queste tecnologie hanno fatto passi da gigante nell’ordinare e memorizzare informazioni, nel ragionamento deduttivo e nella capacità di interagire e rispondere in modo puntuale al contesto in cui stanno interagendo. A poter essere automatizzate saranno quindi tutta una serie di professioni ad alto valore cognitivo: un qualcosa fino a poco tempo fa impensabile. Anche se le prime occupazioni “a rischio”, almeno  nei prossimi anni, saranno ancora una volta quelle maggiormente ripetitive e a bassa specializzazione. 

Secondo uno studio della società di consulenza McKinesy il 30% delle attività lavorative verranno automatizzate entro il 2030. Un trend da cui l’Europa e l’Italia non sono certo immuni. 

“Riguardo all’Europa, la ricerca di McKinsey indica che circa il 22% delle attività lavorative nell’UE (equivalenti a 53 milioni di posti di lavoro) potrebbero essere automatizzate entro il 2030. La pandemia ha accelerato l’adozione dell’automazione sia dei processi ‘fisici’ che ‘cognitivi’.  La creazione di nuovi posti di lavoro compenserà in tutto o in parte la perdita di posti di lavoro dovuta all’automazione solo nei paesi, territori e imprese che si prepareranno al cambiamento – spiega a Today.it Marco Bentivogli, coordinatore dell’associazione ‘Base Italia’ e fino al 2021 tra gli esperti, nominati dal Mise, per elaborare una strategia italiana sull’intelligenza artificiale – la sfida è aperta e tutto dipenderà da come ogni continente, paese, ecosistema e impresa si comporterà preparandosi a questa accelerazione”. 

In Italia l’anno zero è il 2025: perché la domanda di lavoro diminuirà e quali sono i settori più a rischio 

Per l’Italia l’anno zero è il 2025. Dopo il 2024 la domanda di nuovi lavoratori dovrebbe scemare progressivamente per l’effetto dell’A.I. La contrazione sarà molto più evidente a partire dal 2027. Lo certifica uno studio che analizza il possibile impatto dell’A.I. sul nostro mercato del lavoro, elaborato dalla società di consulenza Ernst & Young in collaborazione con Manpower e Sonoma.  Secondo quanto previsto dagli autori, per il 41,7% delle professioni italiane la domanda di lavoro è prevista in netto calo nei prossimi anni. Si tratta essenzialmente di professioni a scarsa specializzazione o di settori di bassa crescita come il settore agricolo e le industrie tradizionali, ad esempio, o come le imprese artigiane attive nella lavorazione del cuoio e della pelle. 

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Come si intuisce dal grafico sopra,  le professioni più a rischio scomparsa sono quelle meno qualificate in ambito industriale. Ma anche molte delle professioni impiegatizie sono destinate a subire una netta diminuzione della domanda. Merito dei nuovi software di intelligenza artificiale che tenderanno a sostituire anche parte del lavoro cognitivo, specialmente quello più routinario, svolto dagli esseri umani. È il caso, ad esempio, di molti mestieri legati al settore bancario dove l’avvento delle nuove tecnologie dovrebbe avere un impatto considerevole.

Ma se la domanda di lavoro diminuirà con il progredire dell’automazione, ad aumentare sarà la richiesta di personale altamente specializzato in grado di saper gestire le nuove complessità e l’enorme mole di “big data” generato dall’uso massiccio di questi sistemi. Si aspetta un vero e proprio boom di richiesta per professioni come: data analyst, ingegneri informatici, a.i. trainer (che potremmo tradurre come “addestratori dei sistemi di intelligenza artificiale”), ingegneri robotici ecc. Ma, a sorpresa, anche di professionisti a spiccata vocazione umanistica.

Le professioni “in ascesa” e lo spettro del lavoro povero

Se a pagare il prezzo del cambiamento saranno quindi, in prima battuta, gli operai e gli impiegati non specializzati, la richiesta aumenterà per tutta una serie di “professioni altre”. Da quelle basate sulla cura fisica e psicologica delle persone a quelle legate alla comunicazione e alle pubbliche relazioni per arrivare ai nuovi lavori che saranno necessati per rispondere all’emergenza ambientale. Le “macchine” ci spingeranno sempre più verso una maggiore specializzazione e paradossalmente verso un recupero della nostra dimensione “umana”. 

“Il digitale e la robotica avanzata cancellano le mansioni ruotinarie ripetitive ed esaltano quelle a maggiore ingaggio cognitivo. Paradossalmente il lavoro operaio altamente qualificato ‘ibridato’ con macchine avanzate sarà meno eroso dalle tecnologie rispetto al lavoro routinario impiegatizio. Il vero tema è il lavoro creativo. La partita sarà impegnativa – osserva Marco Bentivogli, che aggiunge – la nostra umanità però non è sostituibile. L’Ai non è intelligente, non sa assegnare finalità alle cose, non ha sensibilità, spirito critico, laterale. Questa è la nostra forza”. 

Ma l’impegno a cui siamo chiamati è enorme: i tre quarti delle professioni che oggi conosciamo avranno bisogno di una qualche forma di intervento pubblico per prevenire il rischio esclusione sociale o carenza di lavoratori specializzati. E i terreni di intervento sono molteplici: dalla formazione alle politiche attive per il lavoro. 

Il dato evidente è che dobbiamo prepararci a una forte transizione. La domanda di lavoro per molti lavori tenderà, nei prossimi anni, a flettersi considerevolmente, lasciando molte persone a casa. Non è un caso che Sam Altman, il padre di ChatGpt e fondatore di Open A.I, sia da tempo un convinto fautore del “reddito universale”, una sorta di indennità minima per tutti, che compenserebbe la perdita di posti di lavoro derivanti dall’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie.Intanto la transizione va gestita e siamo già in ritado. 

E secondo lo studio sopracitato saranno le professioni meno specializzate a essere più facilmente rimpiazzate in favore di quelle tecniche legate all’informatica, ma anche da quelle legate ai servizi della persona. È impossibile non notare infatti che fra i profili più ricercati, nel grafico sopra, figurano molti profili tecnici. Ma anche assistenti sociali, esperti di immagini e pubbliche relazioni, valorizzatori di risorse umane. Intanto la transizione si scontra con almeno due ordini di problemi.

L’Italia rischia più degli altri: scuola e politiche attive del lavoro preparano sempre meno al futuro

Il primo è che, mentre il mondo del lavoro richiede sempre più figure specializzate, l’Italia è uno dei paesi europei con il più basso numero di laureati. Malgrado i timidi miglioramenti degli ultimi anni: con un tasso di laureati del 29,2% tra i 25 e i 34 anni rimaniamo ancora il fanalino di coda dell’Unione Europea (peggio di noi fa solo la Romania).

Una dinamica che si ripercuote spesso sul livello occupazionale: abbondano i lavori poco qualificati e sottopagati. E che potrebbe venire esasperata ulteriormente dallo sviluppo dell’automazione in assenza di interventi politici e normativi. Si rischia di esacerbare una polarizzazione già presente nella nostra società: da una parte un lavoro “smart”, fatto di skill medio alte e ben retribuito, dall’altro il lavoro povero dove si lavora molto e si guadagna poco. 

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Il secondo aspetto è che anche il mondo dell’Università e della scuola è poco preparato perché siamo alla vigilia di una rivoluzione della quale è ancora molto difficile vedere gli esatti contorni.

“Come dice World Economic Forum il 65% delle bambine e dei bambini che oggi frequentano le scuole elementari faranno un lavoro di cui oggi non conosciamo neanche il nome – sottolinea Marco Bentivogli – in Italia ci sono delle eccellenze, come quelle dei nostri politecnici che vanno diffuse, ma in media purtroppo l’Istruzione e la formazione sono troppo ‘fordiste’, metodi di apprendimento e contenuti a catalogo uguali per tutti. Bisogna puntare sulla personalizzazione e alcuni docenti hanno già iniziato, ma non esiste ancora un dibattito pubblico all’altezza del tema”.

Perché, se l’adozione dell’intelligenza artificiale ridisegnerà il mercato del lavoro dando spazio a professioni “tecniche” sono proprio queste ultime a fare registrare il maggior livello di “mismatch” tra università e mercato. Con questo termine intendiamo il mancato allineamento tra le competenze acquisite nei corsi universitari e quelle richieste dai datori di lavoro. E il punto è che il rapido mutare della tecnologia richiede elasticità, capacità di aggiornarsi e formazione costante.

Un’eventualità per la quale continuiamo a essere impreparati. E a pagare sono spesso i più fragili e i lavoratori meno specializzati che si troveranno, molto probabilmente, ancora più di oggi ad avere carriere discontinue e frammentate. Per contrastare questa dinamica non esiste, al momento, nessun efficace indirizzo politico o legislativo. 

La crisi dei nostri centri per l’impiego e delle nostre politiche attive per il lavoro si può riassumere, del resto, con un solo dato, recentemente diffuso dall’Inps. In tre anni sono stati appena 484 i nuovi assunti con gli incentivi del reddito di cittadinanza. Uno strumento che può aver aiutato indubbiamente come strumento di welfare, ma che ha fallito sul piano delle politiche attive del lavoro, anche per la carenza di risorse e personale di chi doveva occuparsi di formazione e orientamento professionale.

E la riforma dei centri per l’impiego rimane, dopo anni, ancora lettera morta in Italia. Un’opportunità per riformarli viene oggi dai fondi stanziati dal Pnrr, ma ancora una volta si registrano ritardi. Mentre puntuale, e senza avvisi, si attende (impreparati) l’onda della nuova rivoluzione 

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Fonte : Today