La finale persa a Praga chiude, nel modo peggiore, la stagione di una Fiorentina a secco di trofei e con una qualificazione alla prossime coppe continentali in bilico. A prescindere dal peso, notevole, che avrebbe avuto nel bilancio complessivo vincere almeno un titolo, il segno da apporre all’annata della squadra viola è comunque positivo: in pochi, ed all’inizio di questo 2023 probabilmente nessuno vista l’altalena di risultati conseguiti, l’avrebbero pronosticata finalista in due competizioni. E’ il frutto di una crescita che dovrà essere anche il punto di partenza della Fiorentina che verrà, pur con il carico di rimpianti scaturiti dal modo in cui le due sconfitte in Coppa Italia e nella Conference sono arrivate. Stesso risultato, ed in parte modalità analoghe: una ripartenza letale concessa all’Inter nel match che metteva in palio la coccarda tricolore, un’imbucata sanguinosa a fine partita a spianare la strada al West Ham nell’ultimo atto della coppa europea.
Restano le prestazioni, e resta quel calcio propositivo che si è fatto apprezzare e che suona però come una magra consolazione. E trova conferma la sensazione emersa dopo il k.o. di Roma contro i nerazzurri: ovvero che ai viola manca ancora qualcosa per vincere. Non il carattere, messo in mostra approcciando con determinazione all’atto conclusivo della Coppa Italia (sbloccata dopo 3’) e replicando allo svantaggio contro gli inglesi a Praga. Probabilmente l’esperienza, quella sì, da intendere come l’attitudine a giocare con continuità partite così delicate: a volte riacciuffate con l’orgoglio (il ritorno con il Lech Poznan si stava mettendo male), a volte col cuore e la caparbietà (vedi il guizzo di Barak a Basilea, che ha spalancato le porte alla finale prima della pericolosa appendice dei supplementari). Sicuramente il cinismo, che è nel patrimonio genetico delle squadre top: non che il West Ham lo sia, ma il pragmatismo con cui gli Hammers hanno spietatamente colpito quando si è presentata l’occasione, dopo aver a lungo prestato il fianco alle sfuriate viola, è sintomatico della diversa attitudine – dei singoli, più che della squadra – a governare una materia delicata come una finale.
Crescere ancora e ripartire, dunque. Ma resta da che vedere su che basi, e qui una riflessione si impone, parallelamente al monitoraggio costante di quelle pedine che dovrebbero rinforzare la rosa. Intanto, c’è il nodo Italiano: Commisso lo ha definito un punto fermo, il tecnico ha detto che un incontro sarà imminente per definire il futuro. Sicuramente della squadra, ma in primis il suo, visto che c’è un contratto che lo lega a Firenze ma anche più di un club che lo mette nella lista dei desideri e pronto ad offrirgli una panchina. Poi, ci sarà con ogni probabilità da fronteggiare la partenza di Amrabat. Il centrocampista marocchino è cresciuto in maniera esponenziale alla Fiorentina, oltre ogni più rosea aspettativa in relazione alle – tante – perplessità dell’ambiente sulla capacità di raccogliere l’eredità pesante di Torreira, partito tra i rimpianti ma sostituito in modo superbo dal nordafricano. Si è consacrato ai Mondiali in Qatar, ha chiuso mantenendo standard elevati di rendimento: già a fine gennaio un tentativo blando di sottrarlo ai toscani c’era stato, con un’offerta però irricevibile. L’assalto riprenderà in estate, e stavolta trattenerlo sarà più difficile. Anche se una sua partenza, ben monetizzata, costituirà ben più di un semplice tesoretto con cui operare sul mercato e puntellare l’organico.
Fonte : Today