Red Recensione: il ritorno in grande stile di Disney Pixar

Quanto è bella, quanto è preziosa Pixar quando racconta la crescita. Non che lo studio d’animazione più talentuoso e brillante in casa Disney non abbia saputo andare oltre, negli anni: lo dimostrano la nostra recensione di Soul, come anche la recensione de Gli Incredibili 2. Eppure c’è qualcosa di diverso quando al centro della magia “made in Pixar” c’è l’infanzia o l’adolescenza: a prescindere dal risultato, c’è voglia di sperimentare oltre ogni limite, come vi raccontiamo nella recensione di Toy Story 4, nella recensione di Inside Out o nella recensione di Luca.

Ed ecco che arriva Red, il nuovo film originale Disney+ che sbarcherà sulla piattaforma streaming in esclusiva dal prossimo 11 marzo. Un peccato non potersi gustare i colori e la qualità dell’animazione del film di Domee Shi sul grande schermo. Auspicandoci dunque che anche le produzioni Pixar possano presto tornare in sala, dobbiamo ammettere che la fruizione in streaming darà accesso ad un piccolo capolavoro davvero a tutti, e ad un costo (di fatto) estremamente irrisorio. Perché sì, Turning Red conferma ancora una volta il talento straordinario di Pixar Animation Studios, in una storia di formazione atipica e particolare, concretizzata in una formula a dir poco vincente.

Una figlia e sua madre

A firmare la regia di Red è Domee Shi, già vincitrice del Premio Oscar 2018 per il miglior cortometraggio con Bao. Già all’epoca il talento di quest’autrice ci sembrò chiaro, come pure il tema cardine di questo suo primo percorso artistico: il rapporto genitori-figli, e più in particolare tra madre e figlia.

Come pure la passione smisurata per la cultura orientale e per le sue contaminazioni con la quotidianità adolescenziale squisitamente americana. Perché Red è un film che ha stile da vendere, nell’animazione, nella regia e nelle scelte stilistiche, figlie di un approccio estetico che guarda tantissimo agli anime d’azione giapponesi e alla produzione manga dell’ultimo trentennio. Ma soprattutto è una pellicola con tanta sostanza, con idee di scrittura originali e innovative. Mei è una ragazzina di tredici anni, canadese di origini cinesi. Proprio le sue radici rappresentano il principale pilastro culturale di un film che guarda anche all’inclusività, poiché la premessa di partenza del racconto sta proprio in un’antica tradizione orientale. La famiglia della protagonista è infatti proprietaria del più antico tempio cinese di Toronto, e da anni rappresenta un’imprescindibile meta turistica per i visitatori da ogni dove. Divisa tra le faccende del tempio e tra i suoi doveri di studentessa modello, Mei è però schiacciata dalle aspettative che i suoi, e in particolare la sua esigente madre, nutrono per lei.

Ma la sua ossessione dell’essere perfetta e impeccabile in tutto, diventando riflesso a immagine e somiglianza della sua mamma privandosi di vivere una normale adolescenza, non le impediscono di coltivare alcune audaci passioni segrete: insieme alle sue amiche è una fan sfegatata di una tipica boyband, e il suo sogno nel cassetto è di assistere prima o poi ad un loro concerto. Il rapporto con sua madre, però, non è particolarmente idilliaco: apprensiva, iperprotettiva, severa e autoritaria, disposta a tutto pur di esercitare il suo controllo pressante sulla vita della figlia, al punto da mettere la giovane profondamente in imbarazzo di fronte ai coetanei. Ed è proprio a questo punto che in Mei, all’improvviso, qualcosa cambia.

In occasione dell’ennesima esagerazione di sua madre Ming Lee, la tredicenne ha un attacco di panico, diventa rossa, si gonfia. Poi, una nuvola rossastra l’avvolge, e al suo posto compare un enorme panda rosso. Mei si ritrova vittima di una bizzarra maledizione: ogni volta che le sue emozioni raggiungono l’apice, il suo corpo cambia, mutandola in un enorme ma tenerissimo animale. Ed ecco che il vero retaggio della sua famiglia le viene svelato: una dinastia che, da generazioni, combatte con un anatema che si manifesta durante la crescita, e che può essere scongiurato solo attraverso uno speciale rito prima che la furia del mostro prenda il sopravvento sulle emozioni della prescelta. Eppure, per Mei, assumere la forma di un coccoloso panda rosso diventa ben presto un modo per vivere la vita con più libertà, staccarsi dal giogo pressante di sua madre, essere insomma davvero se stessa.

Red: un coming of age atipico

E dunque, avrete capito che sono numerosi i livelli di lettura in un film come Red: al centro di tutto c’è il racconto inedito della pubertà, declinato attraverso la metafora della trasformazione. Il tema della crescita, ma soprattutto dei cambiamenti del proprio corpo, specie per una giovane donna, viene affrontato da Pixar al tempo stesso con profondità e ironia, sorprendendo per la perfetta alternanza tra leggerezza e riflessione. Nel complesso, la scrittura ci ha stupito per la sua cornice matura, tanto nelle scelte narrative (un film Disney/Pixar che tratta persino segmenti di quotidianità e intimità femminile) quanto nelle soluzioni visive. Queste ultime sono ricche di riferimenti squisitamente pop, che guardano come già detto soprattutto agli anime per quanto concerne la spettacolarità della messinscena.

Oltre la sua sceneggiatura, oltre una verve comica matura e raramente infantile, Red infatti sorprende per la sua insolita ma pregevole impalcatura visiva. Guarda al coming of age con freschezza e divertimento, prendendo in giro il teen drama, ma confeziona soprattutto un’estetica in parte kawai e in parte spettacolare, soprattutto in alcune sorprendenti scene d’azione disseminate nell’atto finale. Su tutto questo poggia inoltre un’animazione che si conferma di altissimo livello, forse meno colorata di Luca o Inside Out ma estremamente più audace dei suoi più recenti predecessori: perché Red è, in definitiva, oltre che un bel caleidoscopio di messaggi familiari e formativi, anche e soprattutto una riuscita commistione di generi e linguaggi molto diversi tra loro.

Fonte : Everyeye