La fertilità mondiale si è più che dimezzata in cinquant’anni

Nel calderone delle cause dell’infertilità gli ingredienti possono essere davvero tanti: l’essere in sovrappeso, il fumo attivo e passivo, le abitudini alimentari, la sedentarietà, lo stress, i condizionamenti psicologici e un’infinità di altri possibili fattori più o meno conosciuti. E poi c’è l’elefante nella stanza, l’inquinamento ambientale che si ripercuote su di noi spaziando dalle alterazioni ormonali alle microplastiche che ingeriamo assieme al cibo. Nonostante un uso semanticamente discutibile della parola chimica – che a tratti sembra quasi superare il confine della chemofobia, in cui l’espressione “sostanza chimica” viene usata genericamente come sinonimo di pericolo – le sostanze specifiche a cui ci si riferisce emergono esplicite: gli ftalati, il bisfenolo A, alcuni tipi di pesticidi, la diossina Tcdd, i bifenili policlorurati e via dicendo.

Ciò su cui si concentra il rumore del campanello d’allarme suonato da Swan, ma più in generale dalla comunità scientifica, sono le conseguenze a domino che l’inquinamento può determinare, peraltro non solo sulla riproduttività della specie umana ma anche su insetti, uccelli e in generale sulla vita per l’intero pianeta Terra. Per arrivare, guardando al di là della biologia, anche a incertezze sociali imminenti tra devianze demografiche, disfacimento delle istituzioni culturali, cambiamento dei valori e degli equilibri di genere.

Quello che possiamo fare

Di fronte al contesto odierno, descritto come una vera e propria spermageddon (o, come l’abbiamo chiamata qui su Wired, una spermocalypse), la proposta di Swan è ovviamente a doppio livello, personale e istituzionale. Come individui, ci suggerisce di mettere a punto quello che viene chiamato un “programma di protezione personale”, che in pratica significa non puntare tanto su app e altri strumenti di misurazione della fertilità ma di sbarazzarci quanto più possibile delle ben note abitudini dannose e di rendere la casa un luogo il più possibile protetto da sostanze nocive, guardando alla cucina, al bagno e persino alla cameretta dei giochi e al giardino. 

Qualche esempio? Occhio a moquette, deodoranti per ambienti, sacchetti di plastica, pentole, naftalina, farmaci inutilizzati, contenitori per il cibo e così via. Come società tutta, invece, l’invito è a intervenire a livello normativo, con regole più attente e aderenti alle evidenze scientifiche. Ma anche a puntare sulla ricerca, perché a oggi esistono grandi interrogativi senza risposta sul come limitare o impedire che le esposizioni nocive odierne e del recente passato si trasmettano alle generazioni future, determinando effetti intergenerazionali. Non a caso, già la dedica iniziale del libro è “ai nostri figli e nipoti”.

Ma è evidente che il da farsi, in senso più ampio, sta pure sul piano culturale e della presa di coscienza. E in questa ottica il messaggio di Swan è ottimista: “In passato, dopo avere scritto e parlato con altri scienziati in merito ai risultati delle mie ricerche, ho percepito che le persone che potevano fare la differenza non stavano ancora prestando ascolto. Mentre dopo la pubblicazione del 2017 “mi è sembrato che gli scienziati, i giornalisti e l’opinione pubblica stessero finalmente prendendo sul serio questa minaccia. La buona notizia è che stiamo finalmente ottenendo alcune delle risposte di cui abbiamo bisogno per tutelare la salute riproduttiva dell’uomo, così come quella di altre specie”. L’importante, però, è che tutto questo non finisca troppo presto nel dimenticatoio.

Fonte : Wired