Robert Plant ha raccontato a Rick Rubin la sua carriera, dagli esordi nella scena blues della Black Country inglese insieme a John Bonham alla gloria dei Led Zeppelin, fino alla sua reinvenzione artistica come intenso cantante folk e country con gli album registrati con Alison Krauss Raising Sand del 2007 (vincitore di un Grammy) e Raise the Roof del 2021.
Dopo l’incontro con Paul McCartney per il documentario McCartney 3,2,1 Rick Rubin diventa ancora una volta l’interlocutore perfetto per parlare con le leggende del rock e ripercorrere con loro dettagli musicali e aneddoti della loro vita. L’occasione per l’incontro tra la voce dei Led Zeppelin che ha influenzato generazioni di musicisti e il produttore-guru che ha costruito il suono di quattro decenni di musica passando dall’hip-hop al metal al rock è stata una puntata del podcast Broken Record creato da Rick Rubin insieme a Malcolm Gladwell. Uno spazio in cui come si legge nella presentazione «I musicisti parlano della loro vita e della loro arte. E poi suonano» che in passato ha ospitato anche Little Steven, Jackson Browne, Cat Stevens.
Robert Plant ha raccontato la sua attrazione irresistibile verso la musica iniziata da bambino quando imitava Elvis Presley nel salotto di casa dei suoi genitori, la passione per il blues che lo ha portato a lasciare casa e scuola a 16 anni per entrare nella scena delle band delle Midlands: «Ho avuto la mia educazione musicale passando da una band all’altra approfondendo la mia conoscenza del blues e di tutti i generi musicali che avevano profondità e significato, e che valeva la pena ascoltare» ha raccontato.
Una delle sue prime band, con cui ha anche registrato alcune canzoni per la CBS Records si chiamava Crawling King Snake, poi è arrivato l’incontro con John Bonzo Bonham con cui ha fondato i Band Of Joy: «La prima volta che l’ho conosciuto eravamo due ragazzini, ma lui si è presentato dicendomi: “Sono il miglior batterista del mondo”».
Insieme a John Bonham, Robert Plant è entrato a fare parte della band guidata da Jimmy Page (che ancora si chiamava The New Yardbirds) che ha rivoluzionato il rock elettrificando il blues, i Led Zeppelin, in cui è diventato uno dei più grandi frontman di tutti i tempi, e quando John Bonham è scomparso nel 1980 travolto dagli eccessi nel momento di massima gloria ha deciso di mettere fine per sempre alla storia della band. Anche se ancora oggi è un cantante dalle doti vocali eccezionali, e nonostante il successo incredibile del concerto di reunion con Jimmy Page e John Paul Jones del 2007 alla London O2 Arena (raccontato nel film concerto Celebration Day), per Robert Plant i Led Zeppelin sono finiti con John Bonham. La sua curiosità artistica lo ha spinto verso altri suoni, lo ha portato e esplorare la psichedelia e la musica nordafricana con i suoi progetti solisti Band of Joy e Sensational Space Shifters e poi ad abbracciare le radici country e folk del rock con gli album realizzati con Alison Krauss.
Come ha raccontato a Rick Rubin, uno dei ricordi più intensi dei dodici anni vissuti al massimo del volume e della velocità con i Led Zeppelin (che hanno pubblicato otto album tra il 1968 e il 1979) è stato il momento in cui insieme a John Bonham e Jimmy Page ha dato forma musicale imponente e mistica ad una ispirazione che gli è venuta nel 1973 durante un viaggio in automobile nel deserto del sud del Marocco.
È un pezzo che i Led Zeppelin hanno suonato in ogni concerto da quando è uscito sull’album Physical Graffiti e uno dei momenti più monumentali della loro carriera, Kashmir: «E’ stato un grande risultato mettere insieme una musica così drammatica e potente con un testo ambizioso ed epico e ottenere un risultato così equilibrato» ha detto Plant. Gran parte del merito secondo lui si deve alla ritmica creata dal suo insostituibile amico John Bonham: «Oltre a quello che ha suonato, è stato quello che non ha suonato a far funzionare la canzone».
Fonte : Virgin Radio