Romania – Nel weekend precedente all’offensiva russa del 24 febbraio, l’Ucraina è un paese con le discoteche e i ristoranti semipieni, uffici in cui si compilano fogli Excel, gente che ordina sushi tramite cellulare e va a dormire setacciando possibilità amorose per il giorno dopo.
Poi tutto è cambiato. A Odessa, città portuale sul Mar Nero dove ho vissuto per circa tre settimane, la sveglia che dà il via alla grande fuga è un forte boato proveniente dai quartieri a sud, attorno alle cinque del mattino, ora in cui il presidente russo Vladimir Putin ordina l’inizio delle ostilità. Io non lo sento mica, ma diversi amici sì, e una scorsa rapida alle notizie non mi fa più addormentare. Nel giro di qualche ora ogni agenda e piano esistenziale vengono stralciati, e non resta che un bivio: rimanere, nonostante tutto, oppure trovare riparo altrove?
Gli ucraini non erano i soli a ritenere improbabile che il capo del Cremlino avrebbe deciso di invadere una nazione da 44 milioni di abitanti: quella era anche l’opinione dei servizi segreti europei fino alla fine del 2021, come emerge adesso da un rapporto dell’intelligence italiana appena declassificato. Di diversa opinione gli statunitensi e lo stesso presidente Joe Biden, ma l’ipotesi era talmente enorme da non essere nemmeno registrata nella testa di chi era sul posto, seppure affranto dall’incertezza politica che si trascinava ormai da Natale.
Dopo mesi passati a fare finta che tutto potesse procedere business as usual, in quelle prime ore di giovedì 24 febbraio migliaia di odessiti fanno le valigie alla bene e meglio, chiacchierano qualche minuto con le proprie famiglie e prendono una decisione che potrebbe cambiare la loro vita: lasciare l’Ucraina. Magari per qualche giorno, forse qualche settimana, vacci a capire. Sarà l’inizio di un incubo?
Carri armati in Ucraina (Paolo Mossetti)
Paolo Mossetti
Carri armati in Ucraina (Paolo Mossetti)
Paolo Mossetti
Lo scoppio della guerra
Per quanto mi riguarda non ho paura, o almeno non l’avverto – forse è l’adrenalina – ma a pesare nella mia decisione di andarmene c’è il timore di restare impantanato in una città il cui aeroporto viene immediatamente chiuso, dove ben presto anche il wifi grazia al quale lavoro potrebbe saltare, e chissà forse anche i bancomat. Già alle prime luci dell’alba, provando a fare una passeggiata, noto file di decine di metri agli sportelli bancari.
Faccio qualche telefonata, e scopro che un’amica sta organizzando una piccola carovana di tre macchine con dei colleghi dell’ufficio. “Vuoi venire anche tu? – mi chiede -. L’occasione potrebbe non ripresentarsi più“. Allora avverto il proprietario del mio appartamento che lascerò casa prima, in disordine; gli chiedo comprensione. Lui, in Moldavia per lavoro, mi rassicura, e promette di tenermi aggiornato: “Molti stanno scappando qui, dice, le frontiere sono ancora aperte, provateci anche voi”.
La mia comitiva in realtà è diretta a Cracovia, in Polonia, dove la compagnia per cui lavora la mia amica ha il suo quartier generale, e con una manciata di messaggi l’intera divisione di Odessa decide di trasferirsi là. I primi a partire sono quelli che possono lavorare col computer, la piccola classe media ucraina. È la prima generazione che fa smartworking di guerra. Sono ragazzi e ragazze tra i venti e i trent’anni per lo più, e un paio di stranieri da molti anni espatriati in Ucraina. C’è anche una famiglia con una bimba di quattro anni, che non realizza quello che sta succedendo e pensa che stiamo partendo per una vacanza.
Al confine (Paolo Mossetti)
Paolo Mossetti
Al confine (Paolo Mossetti)
Paolo Mossetti
In fuga da Odessa
E in effetti nel momento in cui ci avviamo, per quanto possa sembrare incredibile, il clima è quello di una scampagnata. C’è più incredulità che rabbia per la situazione che si è presentata, e io resto sbalordito dalla piccolezza delle valigie degli emigranti. In un volo Ryanair verrebbero tranquillamente lasciate sotto i sedili, eppure dovranno bastare almeno fino alla metà di marzo, in un clima non certo estivo. Appena ci mettiamo in macchina non c’è voglia di parlare né di politica né di eserciti. Siamo nelle prime ore di conflitto aperto e le truppe di Mosca sono ancora lontane. I raid aerei sembrano risparmiare Odessa che tuttavia è un centro strategico importantissimo. Vai a sapere che succederà domani, meglio partire.
Decidiamo così di andare in Polonia aggirando l’intera Ucraina occidentale, per evitare di finire su qualche autostrada presa di mira dai missili o bloccata dall’esercito di Kyiv. Bisognerà attraversare anche la Romania, l’Ungheria, e la Slovacchia, posti che diverse persone del mio gruppo non hanno mai visto. Un viaggio di almeno tre giorni, ma l’importante è iniziarlo. Già fare il pieno è un’impresa: le code ai distributori aumentano pian piano che ci si allontana dal centro città, in alcuni punti sono davvero chilometriche, ma dopo aver pazientato ci riusciamo e allora non resta che scegliere da quale varco lasciare il Paese.
Fonte : Wired