E se la platea del People’s Peace Summit, come gli oratori, è quanto mai varia e dalle mille sfumature, una cosa su cui le tre non scendono a compromessi è la posizione su Gaza. Ad avviare domani i lavori sarà “un appello per un cessate il fuoco immediato, il rilascio di tutti gli ostaggi e la fine definitiva di questa guerra”, ha dichiarato Savir ad Haaretz, sottolineando “l’orrore e la vergogna” che prova “come israeliana ed ebrea per le azioni che Israele commette quotidianamente”. La figlia del famoso politico e diplomatico è consapevole della delicatezza del tema, alla luce dei lutti del 7 ottobre, e che “potrebbe volerci del tempo”. “Le persone sono profondamente traumatizzate. Ma queste sono cose su cui non possiamo discutere. Proprio come il 7 ottobre è una verità storica, ciò che Israele sta facendo è una verità storica”. Per Pundak, l’obiettivo rimane un futuro basato sull’uguaglianza e sulla cooperazione, “sia all’interno di Israele, tra cittadini ebrei e palestinesi, sia tra il fiume e il mare. L’unico modo in cui possiamo vivere è insieme”. Una prospettiva di pace che gode del sostegno di “molti palestinesi” ma che ora richiede uno sforzo maggiore da parte degli israeliani. “Perché in questo momento siamo noi la parte più forte e abbiamo una maggiore responsabilità”, ha sostenuto. Sebbene tutti e tre fossero da tempo impegnate nell’attivismo, è stato il vuoto politico in Israele – anche prima dell’attuale guerra – ad avvicinarle. E la risposta è stata ‘It’s Time’, lanciata nel luglio 2024 con una conferenza a Tel Aviv alla quale hanno preso parte 6 mila persone, seguita da una serie di eventi. Almog è convinta che “il campo della pace in Israele sia significativamente più grande, più ampio, più profondo e più diversificato di quanto sembri”. Da qui l’esortazione a partecipare al summit a Gerusalemme: “Se vi sentite isolati, disperati, se ne avete abbastanza di odio, morte e vendetta, questo è il posto giusto”. Legate inevitabilmente nell’immaginario collettivo al processo di Oslo, le tre organizzatrici ne fanno proprio lo spirito ma non in maniera acritica. “Il vero risultato è che israeliani e palestinesi riconobbero reciprocamente la loro appartenenza a questa patria e il loro diritto all’autodeterminazione. Questo è il risultato storico. Ed è questo che è in gioco oggi”, ha affermato Pundak. Il problema, ha aggiunto Almog, non è cosa sia stato ma cosa non gli eè stato permesso di diventare. “Giudicarlo è come guardare l’impasto di una torta che non è mai stato infornato e dire che la torta è venuta male”, ha sottolineato. “Non si può giudicare qualcosa che è stato letteralmente assassinato prima ancora di avere la possibilità di essere finito”.
Fonte : Sky Tg24