Dal videogioco al grande schermo: Until Dawn è al cinema e promette brividi

Disponibile nei cinema dal 24 aprile 2025, Until Dawn: Fino all’Alba sfrutta una visione “giocosa” del genere horror, per omaggiarne la natura creativa più poliedrica, in un racconto dall’essenza imprevedibile. La ripetizione mortale è la chiave per accedere a un’esperienza, sul grande schermo, che ricorda l’ispirazione videoludica, in termini di spirito e identità, per poi trovare quasi subito una strada tutta personale e particolare. Tratto dall’omonimo videogioco sviluppato da Supermassive Games e pubblicato da Sony Interactive Entertainment, e diretto da David F. Sandberg, questo lungometraggio si trascina dietro sicuramente le aspettative degli appassionati, chiarendo fin da subito, però, una posizione narrativa differente, che non vuole tradire nulla, ma reinterpretare attraverso un linguaggio diversissimo da quello dei videogiochi (scoprite però di più nella nostra recensione di Until Dawn).

In vista dell’uscita di Until Dawn: Fino all’Alba, abbiamo avuto l’occasione di approfondire alcuni aspetti di questo lungometraggio direttamente col suo regista David F. Sandberg. La possibilità di parlare con lui di ispirazione e di costruzione ha sicuramente aperto a rivelazioni interessanti e a dettagli aggiuntivi per l’intera percezione dell’esperienza cinematografica.

Un loop particolare che gioca con tutti

Nel riflettere sull’ispirazione del mondo dei videogiochi di Until Dawn: Fino all’Alba, abbiamo aperto l’intervista chiedendo a Sandberg come si è approcciato alla trasposizione cinematografica, mantenendo l’essenza dell’originale ma scegliendo poi di raccontare una storia nuova.

“Beh, è proprio questo che mi è piaciuto della sceneggiatura, che Gary e Blair hanno scritto in modo tale da non cercare di ricreare esattamente il gioco, perché quello era già come un grande film, quindi sarebbe stato difficile fare la stessa cosa e cercare di essere all’altezza. Mi è piaciuto che abbiano preferito fare più di un’espansione dell’universo, è quasi come se fosse un sequel o un prequel. Per me era molto importante catturare l’atmosfera del videogame, come ad esempio il fatto che presenta morti o uccisioni piuttosto brutali, e quindi era fondamentale che non facessimo qualcosa di meno intenso rispetto a quella situazione. Volevo che le uccisioni fossero altrettanto brutali, ed è stato uno dei motivi principali per cui volevo fare questo film: poter finalmente… ho sempre sognato di realizzare un lungometraggio horror con effetti pratici, mostri e tanto sangue, e qui finalmente ho avuto l’occasione di farlo”.

Successivamente ci siamo soffermati a riflettere sulla struttura “a loop” centrale e fondamentale nell’esperienza complessiva di Until Dawn: Fino all’Alba, cercando di comprendere quali possano essere state le sfide nel rendere, a livello filmico, una dinamica del genere. “Sì, voglio dire, uno degli obiettivi era quello di non fare la stessa cosa che si vede in un film” ha commentato David F. Sandberg “come ad esempio Ricomincio da capo (Groundhog Day), dove ogni volta che muori tutto è uguale e si riparte da capo. Dovevamo fare in modo che i nostri personaggi non potessero semplicemente morire ancora e ancora per l’eternità, doveva esserci un limite, ed è per questo che le morti li colpiscono davvero e loro stessi iniziano a cambiare. Hanno soltanto un numero limitato di notti prima che sia troppo tardi, quindi una dinamica del genere era una cosa importante. E mi è anche piaciuto molto che non fosse come Ricomincio da capo, dove è sempre la stessa cosa, non è tipo: ‘oh, il killer arriverà da quella parte’, e quindi ogni notte vado dall’altra. No, qui c’è una nuova minaccia ogni notte. Credo che questo lo renda più originale e non dia la sensazione di vedere sempre la stessa cosa”.

Uno dei tratti più interessanti e divertenti di Until Dawn: Fino all’Alba risiede nella sua “natura aperta” allo sperimentalismo col genere horror. Il fatto di poter saltare da un parte all’altra arricchisce sicuramente un film variegato, così ci è sorta spontanea una domanda “sugli equilibri” proposti in relazione al genere horror, agli appassionati del videogame e del pubblico più grande: “Voglio dire, è stata proprio questa la parte divertente. Sono un grandissimo fan dell’horror, è il mio genere preferito, quindi è stato piacevole sia abbracciare certi cliché del genere – sai, vuoi che alcune parti da slasher sembrino proprio quelle di un classico slasher, così da far pensare: ‘ok, ora siamo in un film slasher’ – sia sovvertire le aspettative, inserendo quei piccoli spaventi nei momenti meno prevedibili. Per me è stato proprio un sogno che si avvera il poter sperimentare tutti questi diversi tipi di horror, anche cose che non avevo mai fatto prima: non avevo mai girato un found footage, ad esempio, e neanche uno slasher, quindi è stata un’occasione per provare”.

Ispirazioni e piglio psicologico

Nel ragionare per un secondo sul titolo Until Dawn: Fino all’Alba, viene naturale il collegarne i rimandi a tantissimi altri horror in cui l’obiettivo principale è proprio quello della sopravvivenza in attesa che il sole sorga all’orizzonte. Da una riflessione del genere abbiamo quindi chiesto a Sandberg se nel suo film ci sono riferimenti o omaggi a questa specifica tradizione del cinema orrorifico. “Sì, certo, voglio dire, sono ispirato un po’ da tutto quello che ho visto, ovviamente, come La Casa (Evil Dead) e cose del genere che adoro, oppure Halloween e gli slasher come Venerdì 13… cercavamo di mantenere le ispirazioni e i riferimenti abbastanza generici, senza rifarci a un film in particolare. Però abbiamo menzionato alcuni titoli, come The Descent, che amo, e di cui abbiamo parlato un po’ quando si tratta della parte in cui scendono nei tunnel con i wendigo. Quella è stata sicuramente un’ispirazione”.

In conclusione abbiamo voluto parlare del lato più psicologico di Until Dawn: Fino all’Alba, quello connesso, nello specifico, col personaggio di Clover, e con la scomparsa della sorella. Da ciò una domanda riguardante l’importanza e il peso dell’elemento emotivo all’interno della pellicola. Sandberg ha quindi rivelato: “Penso sia molto importante che si tenga davvero ai personaggi e non si voglia vederli morire, e che ci sia una sorta di filo conduttore perché… voglio dire, in alcuni film horror ci sono personaggi che detesti e che vuoi solo vedere perdere la vita, il che può essere divertente anche quello, ma in questo caso volevamo comunque creare un coinvolgimento emotivo, un arco narrativo per i personaggi, così da poter seguire il percorso di Clover nel fare i conti con ciò che è successo a sua sorella”.

Fonte : Everyeye