“La spina dorsale della ricerca italiana”

La copertina dell'album di Italian Tech "L’Atlante italiano del futuro", edicola con la Repubblica il 23 aprile

Il CNR è la spina dorsale della ricerca pubblica italiana», dice il professor Stefano Fabris, fisico teorico, direttore del Dipartimento di Scienze fisiche e tecnologie della materia e referente per infrastrutture strategiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

«Questo ruolo si concretizza in vari modi. Partecipiamo ai tavoli strategici europei e nazionali, dove si definiscono le politiche su temi fondamentali come la sovranità tecnologica, lo sviluppo delle tecnologie quantistiche, la strategia per il calcolo ad alte prestazioni e molto altro. A livello interno, promuoviamo una forte collaborazione tra dipartimenti su tematiche trasversali che richiedono competenze integrate. Penso, ad esempio, ai progetti legati all’invecchiamento, all’intelligenza artificiale oppure alla questione della fusione nucleare, per il quale stiamo preparando una campagna di sensibilizzazione».

La scienza non è neutrale: le scelte su investimenti, localizzazione delle infrastrutture e roadmap tecnologiche hanno conseguenze concrete sugli equilibri economici e geopolitici. Così il CNR non solo ha una funzione tecnica, ma anche politica in senso lato, perché da un lato fornisce a enti e istituzioni dati, analisi e soluzioni che orientano le loro decisioni in ambito tecnologico, dall’altro è chiamato a coordinare l’implementazione concreta di quelle scelte.

«Il nostro lavoro – osserva Fabris – si svolge in forte sinergia con i Ministeri, assiste i diversi governi nell’implementazione delle priorità strategiche e, nel lungo periodo, garantisce continuità e coerenza al sistema della ricerca».

Dal laboratorio alla fabbrica

Secondo Fabris, l’Italia è leader in diversi ambiti strategici.

«Oltre alla microelettronica e alle tecnologie quantistiche, i materiali avanzati, la farmaceutica, la robotica, le energie rinnovabili, l’agricoltura di precisione. In questi contesti, l’Italia contribuisce significativamente alla policy scientifica europea: il nostro ruolo è centrale, rispettato e ascoltato. L’Italia partecipa con forza ai tavoli europei e spesso ne orienta le scelte, sia grazie alla qualità della sua produzione scientifica, sia grazie a una presenza diplomatica attiva».

E grazie anche a un lungo lavoro di diplomazia, sarà realizzata a Catania una delle quattro linee pilota del Chips Act europeo, sfruttando un finanziamento complessivo di 360 milioni di euro. «Sarà dedicata ai semiconduttori di potenza, un settore dove vantiamo competenze scientifiche e industriali consolidate, grazie anche alla presenza di STMicroelectronics».

Non è ancora una fabbrica, ma una camera pulita pensata per sperimentare il passaggio da innovazione scientifica a produzione su scala.

«È il punto di contatto tra laboratorio e industria, essenziale per trasformare una scoperta in un processo ripetibile». Il progetto rappresenta anche un banco di prova per il trasferimento tecnologico pubblico-privato in un settore strategico, visto che oggi, «l’Europa utilizza il 20 per cento della produzione mondiale di microelettronica mondiale, ma ne produce solo l’8 per cento, quindi la differenza la importiamo».

L’Atlante Italiano del futuro/Editoriale

Nonostante

Nonostante

Nuovi paradigmi

Il supercalcolo è un altro degli ambiti in cui l’Italia si è ritagliata un ruolo di primo piano, grazie soprattutto a Leonardo, il supercomputer installato presso il Tecnopolo di Bologna.

«È uno dei sistemi di calcolo più potenti al mondo, ed è parte della strategia EuroHPC pensata per dotare l’Europa di una rete di calcolo ad alte prestazioni capace di competere con Stati Uniti e Cina», spiega Fabris.

Leonardo è parte di una rete europea e nazionale che comprende supercalcolatori, data lake, reti ad alta velocità e, sempre più spesso, calcolatori quantistici. «Uno di questi sarà installato proprio in Italia e lavorerà in tandem con il supercomputer, unendo le capacità dei due paradigmi computazionali. L’integrazione HPC–quantum è uno dei prossimi snodi strategici».

Fondamentale, aggiunge Fabris, è anche il software scientifico: «L’Italia ha una tradizione riconosciuta nello sviluppo di software ad alte prestazioni. Ogni ciclo computazionale sprecato è una perdita economica. Servono codici ottimizzati e competenze specifiche per sfruttare appieno la potenza delle infrastrutture».

La costruzione di un sistema

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha segnato una svolta nel rapporto tra ricerca pubblica e impresa. «I fondi ricevuti – oltre un miliardo solo per il CNR – hanno imposto un cambio di paradigma. L’obiettivo non era finanziare singoli progetti, ma creare un sistema strutturato di collaborazione». Da qui la nascita di Centri nazionali, Partenariati estesi, Ecosistemi dell’innovazione e Infrastrutture di ricerca, che tutti insieme sono la nuova architettura della ricerca italiana.

Fabris, da scienziato, cita dati e fatti. Ma la politica, specie dall’altra parte dell’Oceano, vive sempre più di proclami e fatti alternativi, con Trump che svilisce il ruolo della scienza e della ricerca, con le parole e con i tagli ai fondi. E da noi?

«L’Europa è più resiliente. Esiste un G6 della ricerca che promuove l’eccellenza scientifica e la percezione sociale della scienza. Non è l’unica garanzia contro derive irrazionalistiche, per fortuna: in Italia, che pure è famosa per le arti liberali, il sistema scolastico fornisce già strumenti critici per comprendere il valore del metodo scientifico».

Fonte : Repubblica