È caos intorno alle elezioni statunitensi. Dopo che i collaboratori dell’ex presidente e candidato repubblicano alle presidenziali di novembre, Donald Trump, hanno accusato i cybercriminali iraniani di aver attaccato la campagna elettorale del tycoon, riuscendo a mettere le mani su documenti altamente sensibili, l’Fbi ha deciso di indagare sulla questione. A essere a rischio, infatti, sembrerebbe essere anche la campagna della vicepresidente Kamala Harris, che i criminali informatici avrebbero cercato di attaccare in più occasioni. Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa è accaduto nello specifico.
Il cyberattacco alla campagna di Trump
Appena qualche giorno fa i collaboratori di Trump hanno accusato i cybercriminali iraniani di aver violato la campagna elettorale, ma senza presentare alcuna prova concreta. A sostegno delle accuse, però, ci sarebbe un rapporto pubblicato da Microsoft lo scorso 9 agosto, in cui vengono descritti in dettaglio i tentativi dei cybercriminali stranieri di interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi. Il documento, infatti, fa esplicito riferimento a un’unità di intelligence militare iraniana che a giugno ha inviato “un’email di spear-phishing a un funzionario di alto rango di una campagna presidenziale da un account email compromesso di un ex consigliere senior“. Un escamotage che avrebbe permesso ai criminali di accedere a documenti sensibili.
Secondo quanto riferito dal quotidiano Politico, la redazione avrebbe ricevuto da un account email anonimo uno di questi documenti: un dossier di ricerca sul candidato repubblicano alla vicepresidenza, il senatore dell’Ohio J.D. Vance. Datato al 23 febbraio 2024, il documento era antecedente alla decisione di Trump di concorrere alle elezioni con il senatore. “Questi documenti sono stati ottenuti illegalmente, – ha dichiarato il portavoce della campagna Steven Cheung – destinati a interferire con le elezioni del 2024 e seminare il caos durante il nostro processo democratico“. Insomma, nonostante i collaboratori di Trump non l’abbiano presentata, sembrerebbe esserci più di qualche prova relativa al coinvolgimento degli iraniani. Eppure, quando interrogato, l’Iran ha negato ogni coinvolgimento nel cyberattacco alla campagna di Trump.
L’interferenza degli iraniani nelle elezioni
In ogni caso, non è certo la prima volta che il paese è sospettato di aver colpito i suoi rivali con subdoli cyberattacchi. Anzi, fu proprio Teheran a minacciare Trump di vendetta, dopo che l’ex presidente ordinò il raid con droni che nel 2020 uccise il generale della Guardia Rivoluzionaria, Qassem Soleimani. Potrebbe essere tutto cominciato da lì. O anche prima. Il rapporto di Microsoft, infatti, riferisce che “l’influenza straniera sulle elezioni statunitensi del 2024 è iniziata lentamente, ma ha ripreso ritmo negli ultimi sei mesi a causa prima delle operazioni russe, e più recentemente dell’attività iraniana”.
”Le operazioni di influenza cyber-enabled iraniane sono state una caratteristica coerente di almeno gli ultimi tre cicli elettorali statunitensi – si legge nel documento -. Le operazioni dell’Iran sono state notevoli e distinguibili dalle campagne russe per essere apparse più tardi nella stagione elettorale e impiegare attacchi informatici più orientati alla condotta elettorale che a influenzare gli elettori“. Insomma, un’attività intensa quella degli iraniani, che li mette sullo stesso piano dei russi – seppur in un’accezione diversa – nell’interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi.
Fonte : Wired