Detenzioni illegali, condizioni degradanti, privazioni e abusi. È un vero e proprio incubo quello che vivono quotidianamente i rifugiati nel campo di Samos, finanziato da Bruxelles sull’omonima isola greca. Amnesty international ha chiesto al governo di Atene di rivedere la sua politica migratoria, per impedire che ai richiedenti asilo vengano sistematicamente consultai i più basilari diritti umani. Contemporaneamente, anche l’agenzia europea per i diritti umani ha puntato il dito contro la condotta delle forze dell’ordine nazionali, che non vengono perseguite dalle autorità giudiziarie.
La denuncia di Amnesty
In un rapporto pubblicato martedì (30 luglio) e intitolato “Samos: ‘Ci sentiamo in prigione sull’isola’”, l’organizzazione non governativa ha denunciato la situazione insostenibile nella struttura ricettiva sull’isola dell’Egeo, documentata tra il dicembre 2023 e il luglio 2024. La ricerca si basa su incontri e interviste con gli ospiti del centro e con rappresentanti di autorità greche, organizzazioni della società civile e agenzie Onu.
Il campo di Samos, aperto nel 2021, sarebbe un “incubo distopico” secondo Amnesty: sovraffollamento, servizi sanitari e igienici inadeguati, detenzioni illegali ed arbitrarie e privazione sistematica delle libertà personali. Il tutto mentre la struttura, altamente sorvegliata, è circondata di filo spinato e telecamere di sicurezza, rendendola più simile ad una prigione che non a un luogo di accoglienza.
Nel rapporto si sottolinea che spesso manca l’accesso all’acqua potabile corrente e, in alcuni casi, persino ai posti letto. Qualche numero: lo scorso ottobre, a seguito di un aumento degli arrivi sull’isola, il centro è arrivato a ospitare 4850 persone a fronte di una capienza massima di 2040. I rifugiati sono stati alloggiati anche in aree non residenziali come cucine, aule didattiche e container. La capienza nominale del campo è stata aumentata a 3650 posti, ma senza intervenire per incrementare effettivamente il numero degli alloggi.
Anche la situazione igienico-sanitaria è precaria e l’assistenza agli ospiti della struttura non può essere garantita, dato che i contratti degli operatori sanitari sono scaduti da un mese e non è ancora partito il progetto “Ippocrate” (finanziato dall’Ue e gestito dall’Oim). Talvolta, agli ospiti del campo viene impedito di lasciare la struttura per settimane o addirittura mesi.
La nuova politica migratoria europea
Un modello descritto come “punitivo, costoso e pieno di abusi” dall’ong, e che non deve diventare “il” modello per l’attuazione del Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, adottato definitivamente lo scorso maggio e la cui implementazione sarà una delle priorità centrali della seconda Commissione Ursula von der Leyen. “Samos è una finestra sul futuro del Patto e offre un’opportunità cruciale all’Ue e ai suoi Stati membri di cambiare rotta”, ha dichiarato Deprose Muchena, che si occupa dell’impatto sui diritti umani nella regione.
“Con il pretesto di registrare e identificare le persone”, si legge nel documento, “le autorità greche stanno di fatto trattenendo tutte le persone al loro arrivo, comprese quelle che si trovano in situazioni di vulnerabilità, violando i loro diritti”. Amnesty ha esortato l’esecutivo comunitario a ritenere Atene direttamente responsabile per le violazioni documentate, considerando le norme greche sulla restrizione delle libertà dei richiedenti asilo (che produrrebbero “razializzazione” e andrebbero a danneggiare soprattutto le minoranze etniche) in contraddizione sia con il diritto internazionale che con l’acquis comunitario.
Quello di Samos è stato il primo dei nuovi “centri polivalenti” costruiti dopo che, nel 2020, un incendio ha devastato il campo di Moria, il più grande nel Paese ellenico e tristemente noto per le condizioni precarie dei rifugiati che vi erano rinchiusi, al largo della costa turca sull’isola di Lesbo. Per questi centri, la Commissione europea ha stanziato 276 milioni di euro con la promessa di “condizioni migliori” per i richiedenti asilo. Una promessa che sembra essere stata gravemente disattesa.
L’impunità delle forze dell’ordine
Al j’accuse di Amnesty si è del resto aggiunto anche un rapporto dell’agenzia Ue per i diritti fondamentali (Fra nell’acronimo inglese), secondo il quale non c’è sufficiente serietà da parte delle autorità nazionali dei Ventisette nell’indagare – e punire – le violazioni dei diritti umani soprattutto alle frontiere esterne del blocco. Si tratta di un tema da sempre politicamente spinoso, soprattutto negli Stati membri orientali e meridionali, più direttamente esposti ai flussi migratori e spesso lasciati da soli a gestirli.
La relazione sottolinea la persistenza di “un senso di impunità”, dato dal fatto che “ci sono pochissime indagini nazionali su incidenti che hanno comportato la perdita di vite umane e presunti maltrattamenti di migranti e rifugiati alle frontiere”. E pure quando un’indagine viene svolta, “sono pochissimi i procedimenti giudiziari nazionali che portano a condanne”. Per questo, spiega il report, diverse vittime si stanno rivolgendo alla Corte europea dei diritti dell’uomo (la Cedu, un organo esterno all’Ue con sede a Strasburgo) anziché ai tribunali nazionali dei Paesi membri.
Il rapporto della Fra elenca una serie di accuse che coinvolgono violenza fisica, abusi e maltrattamenti di vario genere (ad esempio persone spogliate a forza dei loro vestiti, o che si vedono distrutte proprietà personali), nonché il mancato salvataggio di rifugiati in evidente situazione di pericolo, la separazione forzata dei nuclei familiari e l’espulsione sommaria dei richiedenti asilo.
Fonte : Today