Claudia (nome di fantasia) è una donna con i sorrisi e le difficoltà di una 35enne cresciuta in un piccolo comune del Cilento, in provincia di Salerno. Intelligenza spiccata, ha un amore incondizionato per gli animali, pochi desideri e un unico problema: di salute. Soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo che le impedisce la concentrazione nella lettura e nello studio dei testi, alcuni essenziali per finire l’università e per il suo lavoro. Un problema che ha avuto esordio intorno ai vent’anni e che si è portata dietro per molto tempo. Oggi, dopo molte peripezie, quel disagio mentale si è decisamente aggravato: Claudia è scappata dall’Italia, ha lasciato improvvisamente i suoi affetti. Claudia sarebbe a rischio suicidio. Una storia delicata e intricata, la sua.
“Una giovane vita rovinata da psichiatri e psicologi senza scrupoli e dall’assenza delle istituzioni”, denuncia a Today.it il suo compagno, stimato avvocato della provincia di Salerno. “Surreale – ci racconta il legale -. Non vi sarebbe aggettivo migliore per definire questa storia se non fosse per il fatto che essa è documentata negli atti di quattro procure della Repubblica, di due ordini professionali, di un dipartimento di salute mentale e, dulcis in fundo, del ministero della Salute”.
Il disturbo ossessivo e le prime visite degli specialisti
Partiamo dall’inizio. È il 2020. Il disturbo ossessivo di Claudia va curato: per questo il fidanzato la invoglia a rivolgersi a degli specialisti. Prima a Salerno, poi a una delle più grandi esperte in materia, una professoressa della psichiatria dell’ospedale “San Raffaele” di Milano. Le viene prescritta una terapia farmacologica mirata e viene obbligata a seguire un percorso di psicoterapia, che poi farà presso la sede napoletana di un famoso istituto, con una delle migliori sue analiste. I risultati sono leggermente migliori rispetto ai primi approcci, ma non risolutivi: il consiglio degli esperti è la cosiddetta “accettazione”, ossia, nel linguaggio comune, “più di così non si può fare. Con questi disturbi ci devi convivere”.
La donna non si rassegna. “Un conoscente le ha riferito che a Salerno c’è una giovane psicologa che fa parte di una famosissima scuola, la migliore per la cura del disturbo ossessivo – ci racconta l’avvocato e compagno di Claudia -. L’intenzione era ottima ma, molto spesso, la strada per l’inferno è lastricata proprio di buone intenzioni”. È il maggio 2020. “La nuova psicoterapeuta si mostra subito molto sicura, dicendo che il suo approccio sarebbe stato diverso dai precedenti e sicuramente produttivo di un buon risultato. E, così, grafici, esercizi, indicazioni. Ben presto, però, la neve si scioglie – dice l’avvocato -. Nonostante la cadenza settimanale degli incontri, la psicoterapia non ha nessun effetto. Tuttavia, la professionista salernitana, anziché registrare il fallimento di quel percorso, insiste: bisogna continuare con l’ausilio di una terapia farmacologica. E, così, agli inizi del 2021, dopo essersi consultata con il suo supervisore (un professore di psicologia di un’università napoletana) invia la paziente in visita da uno psichiatra di Caserta”.
Il farmaco antidepressivo Entact e la reazione avversa
È il febbraio del 2021 e Claudia, accompagnata dal fidanzato, va in visita dal medico casertano. Il legale racconta a Today.it: “Questi le propone un antidepressivo mai usato prima, l’Entact, e le dice che, secondo un ‘protocollo sperimentale’, lo avrebbe potuto assumere anche a una dose superiore a quella massima prevista dalla scheda tecnica. Mi tornano alla mente le raccomandazioni della professoressa del San Raffaele di Milano: ci disse che quel farmaco non era tra quelli indicati per il suo tipo di disturbo. Ma quel pensiero dura lo spazio di un mattino e, come spesso capita quando si vuole guarire a tutti i costi, ci si illude che il miracolo possa avvenire”.
La donna comincia la terapia farmacologica e, intanto, prosegue quella psicoterapica. Ad aprile 2021, sempre secondo il racconto del legale salernitano, arriva ad “assumere l’antidepressivo alla dose massima prevista, 20 milligrammi al giorno, e, tornata in visita dallo psichiatra casertano, questi glielo aumenta a 30 milligrammi al giorno. Da quel giorno in poi, non torna più a Caserta: lo psichiatra la sente ogni tanto per telefono, facendo purtroppo affidamento sulla psicologa salernitana che, vedendo la paziente ogni settimana, avrebbe dovuto segnalargli un’eventuale reazione avversa del farmaco. Intanto, il suo medico di base (con studio nel comune di Agropoli) continua a prescrivere l’antidepressivo pur in assenza della prescrizione dello specialista valida per soli trenta giorni”.
“Poi comincia l’inferno. Paziente bipolare con viraggio maniacale”
Dopo un mese e mezzo circa dall’aumento della dose, la donna comincia a manifestare comportamenti anomali per la sua personalità, che diventano molto più evidenti a partire dall’agosto 2021. L’avvocato e fidanzato racconta che la sua sensibilità verso gli animali diminuisce notevolmente, comincia a guidare l’auto sempre più velocemente, diventa facilmente irritabile, fino, nell’ottobre dello stesso anno, a distaccarsi emotivamente anche nei confronti del compagno e dei genitori. A novembre 2021, Claudia torna in visita dallo psichiatra casertano che, “rassicurato dal fatto che la psicoterapeuta salernitana non gli aveva segnalato nessuna anomalia comportamentale della paziente, le conferma l’antidepressivo con dose di 30 milligrammi al giorno”.
“Poco dopo comincia l’inferno. Il suo cambiamento comportamentale si fa evidentissimo: è euforica e dice di voler espatriare in Svizzera per iniziare lì una nuova vita. Purtroppo è accaduto quello che in psichiatria è definito viraggio maniacale farmaco-indotto”.
Così il compagno a Today.it
I sintomi non regrediscono e, a gennaio 2022, il compagno telefona alla psicologa salernitana per manifestarle le sue preoccupazioni. Ma l’esperta è netta: “Ha detto che ‘quando la psicoterapia funziona le persone non ti riconoscono’. E non si è preoccupata minimamente di avvertire lo psichiatra casertano per far sospendere l’antidepressivo che l’ignara paziente continuava ad assumere alla solita dose di 30 milligrammi al giorno”. L’avvocato non si rassegna e, a febbraio 2022, telefona direttamente allo psichiatra, descrivendogli i comportamenti anomali: “Il medico casertano, preoccupato, mi ha detto che quelli descritti sono sintomi di un viraggio maniacale (il passaggio da una fase depressiva a una fase maniacale più grave, ndr). Ci siamo visti di persona per parlarne più approfonditamente e lo psichiatra è giunto all’infausta diagnosi: la paziente, oltre ad avere un disturbo ossessivo, è anche bipolare e quell’antidepressivo, assunto ad altissimo dosaggio, ne ha determinato il viraggio. Ha poi chiesto di farla venire subito in visita per sospenderle il farmaco”.
La fase maniacale nel disturbo bipolare e il viraggio
Il disturbo bipolare costituisce un problema serio e invalidante. I soggetti che ne soffrono sono spesso inconsapevoli. Chi ne è affetto tende ad alternare fasi depressive – con un umore molto basso, una sensazione che niente sia più in grado di dare piacere e una generale tristezza per la maggior parte del giorno – seguite da fasi ipomaniacali o maniacali (bipolarismo). Le fasi maniacali nel bipolarismo, in alcuni casi, vengono generalmente descritte dagli specialisti come l’esatto contrario di quelle depressive. Ovvero, caratterizzate da un umore alquanto elevato, dalla sensazione di onnipotenza e da un eccessivo ottimismo. In queste fasi, i pensieri si succedono molto rapidamente nella mente del paziente affetto da depressione bipolare o disturbo bipolare al punto da diventare così veloci che risulta difficile seguirli. Il comportamento può essere iperattivo, caotico, fino al punto di rendere il paziente inconcludente. L’energia del paziente bipolare in fase maniacale (o ipomaniacale) è talmente tanta che spesso il soggetto non sente la necessità di mangiare o di dormire. Ritiene di poter fare qualsiasi cosa, al punto da mettere in atto comportamenti impulsivi, come spese eccessive o azioni pericolose, perdendo la capacità di valutare correttamente le loro conseguenze. Sono frequenti veri e propri disturbi del controllo degli impulsi (dipendenza dal gioco d’azzardo, shopping compulsivo, ecc.). In alcuni casi gli antidepressivi possono indurre un viraggio dalla fase depressiva alla fase maniacale e questa evenienza richiede naturalmente un’attenzione particolare.
Il farmaco sospeso, la terapia di rientro e la fuga in Svizzera
“A questo punto è cominciata un’altra battaglia – denuncia il legale -. La mia compagna, mostrandosi aggressiva, non voleva farsi visitare dal medico casertano e non voleva smettere di assumere l’antidepressivo perché si sentiva ‘troppo bene’. Armato di pazienza, l’ho convinta e i genitori l’hanno accompagnata a Caserta. Dopo averla visitata, lo psichiatra le ha ordinato di sospendere immediatamente l’Entact, senza diminuirlo gradualmente (cosa che si fa solo in caso di fase maniacale indotta da un’intossicazione da farmaco) e le ha prescritto uno stabilizzatore per tentare di farla rientrare dall’evidente stato di alterazione psichica. Non ha informato, però, la paziente della diagnosi di “mania bipolare”, ma le ha detto che il nuovo farmaco è solo un sostituto del precedente. Un espediente molto usato – argomenta l’avvocato -, perché dire a un bipolare che è in uno stato “patologico” produce spesso l’effetto contrario di farlo scappare dal medico e di rifiutare la terapia di rientro”.
Il giorno dopo la donna scappa in Svizzera. “È fuggita in preda a un irrefrenabile ‘miraggio maniacale’, dicendo che avrebbe fatto ritorno ogni tanto, e per pochi giorni, a casa dei genitori”, racconta il suo compagno.
Il legale accusa: “Intanto, lo psichiatra, anche lui ‘alterato’, telefona alla psicologa, descrivendole il quadro diagnostico e dicendole che, per colpa delle sue leggerezze, era successo l’irreparabile. Segue un tremendo rimpallo di responsabilità, poi i due si calmano e concordano un piano per uscirsene: l’analista dice alla paziente che quello che sta facendo è assolutamente normale e simula, per tantissimo tempo, una falsa psicoterapia (le cui sedute si svolgono, a distanza, attraverso Internet). Lo psichiatra dissimula la gravità della situazione con me e con i genitori e, alle nostre legittime domande, si nasconde dietro il sipario della privacy. Inoltre, a nostra insaputa, e sempre senza informare la paziente del suo reale stato, la invita a trovarsi un altro psichiatra in Svizzera”.
I familiari non sanno che fare, se non (come in genere ci si comporta in questi casi) non ostacolare la donna nel suo disegno, attendendo che la terapia sortisca i suoi effetti. E intanto passano le settimane, i mesi, ma Claudia non mostra segni di rientro dallo stato di alterazione psichica: “Dice che sta cercando lavoro nella nuova patria, ma intanto continua a spendere tutti i risparmi suoi e quelli dei genitori che le erano stati in precedenza affidati”.
“Agire in fretta per limitare i danni, compreso un possibile suicidio”
Il compagno si insospettisce, gli torna alla mente lo psichiatra quando è arrivato alla diagnosi di bipolarità: “Il suo volto era troppo teso e non si conciliava affatto con la minimizzazione dell’accaduto”. E così lui, avvocato specializzato in responsabilità medica, si rivolge a quattro psichiatri di sua conoscenza. Li contatta e tutti gli dicono le stesse cose: “Far prendere a un bipolare un antidepressivo per tutto quel tempo e a quelle dosi significa portarlo in uno stato patologico molto grave e la terapia prescritta dal collega è insufficiente per far ‘rientrare’ la paziente da quello stato. Lo stabilizzatore deve essere aumentato e deve essere aggiunto un antipsicotico”.
E bisogna agire in fretta per limitare i danni. In primis il danno neurologico. “Mi hanno spiegato – racconta il legale – che nelle fasi maniacali da disturbo bipolare la parte del cervello interessata produce, a livello patologico, alcuni neurotrasmettitori (tra i quali serotonina, noradrenalina e dopamina) e questa ‘tempesta bio-chimica’ non solo porta il soggetto in uno stato di dissociazione (cioè di disconnessione dalla normale coscienza, identità, emotività e memoria), ma distrugge moltissimi neuroni (in particolare della corteccia cerebrale), cellule che non si ricostituiscono più. E poi c’è il danno psicologico: più intensa e lunga è la durata della fase maniacale, maggiori sono le probabilità, al suo rientro, di un tentativo di suicidio o di un grave episodio depressivo”.
A questo punto l’avvocato invita lo psichiatra casertano a rimodulare la terapia di rientro, “ma lui prende tempo, dicendo che non può prescrivere un nuovo farmaco se la paziente, ormai Oltralpe, non viene in visita”. Si arriva a febbraio del 2023, esattamente a un anno dalla sospensione dell’antidepressivo: i genitori riescono a convincere la donna a tornare a casa per una decina di giorni e telefonano allo psichiatra per invitarlo a rimodulare la terapia. “Ma questi, con un colpo da vero commediante, dice che in quei giorni deve andare a Roma e pertanto non può visitarla – denuncia il legale -. E, per la prima volta, rende palese il suo piano, invitandoli a convincere la figlia a trovarsi uno psichiatra elvetico. Ho preso il telefono e richiamato il medico ai suoi doveri deontologici, ma lui ha ribadito che non poteva visitare la paziente e ha consigliato di far attivare, dal medico di base, un trattamento sanitario obbligatorio (Tso)”.
Il compagno di Claudia dichiara: “Lo psichiatra aveva capito che lo stato di alterazione psichica della paziente era così intenso che solo una terapia ospedaliera ne avrebbe consentito il rientro in tempi rapidi. Ma il ricovero, capace di riportarla alla normalità in un paio di settimane, avrebbe reso palese le responsabilità dei due sanitari. I danni irreparabili causati dall’antidepressivo ad altissimo dosaggio si sarebbero visti solo al rientro della paziente dalla fase maniacale. Ed è per questo che il medico ha scelto una terapia non idonea a farla rientrare, tentando allo stesso tempo di allontanarla dalle sue cure, in modo che quando il rientro fosse avvenuto si sarebbe potuta addossare ogni responsabilità all’ignaro collega svizzero”.
La battaglia legale del compagno di Claudia
L’avvocato ha un unico pensiero: la salute della donna è in serio pericolo e l’unico modo per tentare di uscire da quella catastrofe è passare alle vie legali. “I genitori non sono d’accordo, hanno paura di un Tso per lo stigma sociale che ne deriverebbe”, ci racconta. E così l’uomo inizia una solitaria battaglia legale che durerà per tutto il 2023. Nello stesso mese di febbraio invia una diffida allo psichiatra, “richiamandolo ai suoi doveri deontologici”. Ma, nonostante ciò, “il medico non visita la paziente che, insospettita da quel trambusto, si affretta a tornare di nuovo in Svizzera”. Poi, a marzo e ad aprile, “ho denunciato, per le relative responsabilità disciplinari, lo psichiatra all’ordine dei medici di Caserta e la psicoterapeuta all’ordine degli psicologi delle regione Campania. A maggio ho denunciato, per le relative responsabilità penali, lo psichiatra, la psicologa e il medico di base, alle procure della Repubblica, rispettivamente, di Santa Maria Capua Vetere, Salerno e Vallo della Lucania (interessando, poi, anche la procura generale per un eventuale coordinamento delle indagini)”.
La situazione precipita, sempre secondo il racconto del compagno di Claudia: “A giugno, lo psichiatra casertano abbandona ufficialmente la paziente, lasciandola nelle mani della psicologa salernitana, la quale, vistasi alle strette, si inventa un piano diabolico: porta la donna da uno psichiatra compiacente che nega che la stessa sia bipolare e in fase maniacale e le toglie anche quel poco di stabilizzatore che il primo psichiatra le aveva prescritto per farla rientrare in sé”.
A luglio (e poi fino a dicembre), l’avvocato si rivolge di nuovo alle procure con accuse gravissime: lesioni dolose gravissime mediante omissione. Nell’ipotesi di chi ha denunciato, i sanitari si sarebbero messi d’accordo per tenere il più a lungo possibile in fase maniacale la paziente, in modo da sostenere, allorquando si verifichi il rientro, che gli eventi dannosi siano collegati ad un nuovo fatto e non al rientro stesso. “Ho suggerito così di disporre, nelle forme dell’incidente probatorio, un accertamento medico sulla persona offesa, funzionale non solo ad assicurarsi la prova dello stato di alterazione psichica della donna, ma utile soprattutto a favorirne il ricovero a fini terapeutici”, dichiara il legale.
Indagini chiuse: manca la querela della persona offesa
Alla fine, le procure chiudono le indagini senza far visitare la persona offesa (cioè Claudia), archiviando per mancanza di querela della stessa. Intanto, in corso di indagini preliminari, l’avvocato, per non lasciare nulla di intentato, presenta presso il dipartimento di salute mentale (Dsm) dell’Asl di Salerno un’istanza di accertamento sanitario obbligatorio (Aso) per far visitare la donna quando a giugno sarebbe rientrata in Italia. Il dirigente salernitano del Dsm ritiene fondata l’istanza e la trasmette per competenza all’unità operativa di salute mentale di Agropoli. “Qui, però, lo psichiatra responsabile, che non voleva dare corso all’accertamento, si inventa un colpo formidabile: telefona alla donna per invitarla in visita presso l’ambulatorio, lei rifiuta dicendo che sta bene, e il medico, ritenendo che dal tono della voce non fossero emersi segni di alterazione psichica della paziente, chiude il fascicolo”, dichiara il compagno, che denuncia il tutto al dirigente salernitano e al ministero della Salute, ma senza esito.
Interessati incidentalmente dei fatti, “gli unici a muoversi con maggiore premura sono i carabinieri del nucleo Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) che accertano che non è stata fatta, da parte dei sanitari, la segnalazione obbligatoria della reazione avversa dell’Entact”.
“Può succedere solo in Italia…”
Il commento finale del legale è amaro: “È una brutta storia che, oltre a mostrare il mondo della salute mentale italiana, per fortuna sconosciuto ai più, fa pensare oltre. Quello stato di alterazione psichica aveva contagiato anche me? Quando scrivevo quelle centinaia di pagine di denuncia, pensavo forse di stare anch’io in Svizzera, dimenticandomi invece dove vivo… Eh sì, perché da noi può succedere che si archivi un procedimento penale per mancanza della querela della persona offesa, quando quest’ultima è così “fuori di testa” da non rendersi minimamente conto di essere “offesa”. Che uno psichiatra della salute mentale pubblica dichiari di aver visitato per telefono una persona mai vista prima e, dopo appena due minuti di conversazione, di averla ritenuta sufficientemente stabile dal punto di vista psichico. Che un pubblico ministero ci creda, anziché iscrivere quel medico nel registro degli indagati per rifiuto di atti d’ufficio o sospettare che lo stesso sia stato avvicinato da uno degli indagati che non voleva che la paziente fosse visitata. E, infine, che una persona denunci, con estrema dovizia di particolari, un reato continuato ad effetti permanenti e che nessuna autorità intervenga, né per accertarli né per denunciare per calunnia (o per sottoporre al vaglio della salute mentale) chi li ha esposti”.
Fonte : Today