In una decisione storica, la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha stabilito che le deboli politiche assunte dai governi per contrastare la crisi del clima violano i diritti umani fondamentali. Si tratta della prima sentenza di questo tipo emessa da un tribunale internazionale, che ha giudicato la Svizzera responsabile di aver violato l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani, non avendo assunto misure sufficienti a contenere la crisi climatica e ledendo così il diritto alla vita privata e familiare di un gruppo di residenti anziane.
Il verdetto è arrivato a seguito dell’analisi di tre casi distinti, ma incentrati sull’ipotesi che l’inazione dei governi nel mitigare gli effetti della crisi del clima possa comportare una violazione dei diritti umani. Alcuni dei governi coinvolti hanno provato a invalidare le cause, sostenendo che le politiche ambientali siano di competenza esclusiva dei governi nazionali, ma la Cedu ha rigettato queste giustificazioni andando al contrario ad accelerare l’analisi dei tre procedimenti.
Il caso della Svizzera
Il caso svizzero è stato presentato da un gruppo di 2.400 donne anziane, riunite nel gruppo Klima Seniorinnen (Anziane per il clima). Le ambientaliste hanno sostenuto di essere state danneggiate dal governo elvetico, in quanto non abbastanza impegnato in azioni concrete di contrasto alla crisi del clima. In particolare, le querelanti hanno sottolineato come le persone più avanti con l’età abbiano maggiori probabilità di morire durante le ondate di calore, diventate più frequenti e intense proprio a causa dei cambiamenti climatici innescati dalle attività umane.
I 17 giudici della Cedu hanno accolto le loro istanze e stabilito che le autorità svizzere non hanno agito in tempo per elaborare una strategia sufficientemente valida a ridurre le emissioni di gas serra e nemmeno garantito alle ricorrenti un adeguato accesso alla giustizia nei tribunali nazionali. Hanno anche riconosciuto che le politiche climatiche della Svizzera non sono basate su dati scientifici e ribadito come i governi siano obbligati a mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi centigradi rispetto al periodo pre-industriale, al fine di tutelare i diritti umani, e che limiti superiori non sono accettabili.
Le altre cause
Gli altri due casi sono stati invece respinti per alcuni vizi di forma. Il primo è stato presentato da un gruppo di giovani ragazze e ragazzi del Portogallo, che hanno denunciato tutti i paesi europei sostenendo come i disastri ambientali provocati dalla crisi del clima minaccino il loro diritto alla vita e li discriminino in basse alla loro età. La Cedu ha rigettato il caso perché i querelanti non hanno aperto azioni legali precedenti contro il loro governo in Portogallo e perché non possono chiamare in causa altri paesi.
Il primo, presentato da un gruppo di giovani ragazze e ragazzi del Portogallo contro tutti i paesi europei, è stato rigettato perché i querelanti non hanno aperto azioni legali contro il proprio governo in Portogallo e perché non possono chiamare in causa paesi diversi da quello di provenienza. Mentre il secondo, presentato dall’europarlamentare francese Damien Careme quando era sindaco di una cittadina costiera vulnerabile alle inondazioni, non è stato ammesso perché Careme non vive più in quella città.
In ogni caso, il verdetto sulla causa presentata da Klima Seniorinnen rappresenta un importante precedente, che cambierà per sempre il modo in cui i tribunali affrontano le sempre più numerose cause relative alla crisi del clima. La decisione della Cedu fungerà da modello alle azioni legali che seguiranno, aprendo la strada a un nuovo capitolo della giustizia climatica. Inoltre, i verdetti della Cedu non sono appellabili e potranno costringere i governi a intraprendere maggiori azioni per la riduzione delle emissioni, compresa la revisione degli accordi internazionali.
Fonte : Wired