Api, i progetti per farle tornare in città

Il protagonista maschile di May December, intrigante film con Natalie Portman e Julianne Moore in sala in questi giorni, alleva farfalle. Con cura, dedizione e pazienza aspetta la trasformazione dei bruchi in lepidotteri, per ripopolare la zona di Savannah, in Georgia, in cui vive. Una volta compiuta la metamorfosi, li libera: “Non sono l’unico a farlo – afferma nella pellicola -. C’è tutta una comunità online con cui sono in contatto e che si comporta allo stesso modo”. Anche Stephen Buchmann, autore del libro La personalità dell’ape, appena uscito per le edizioni Ambiente, ha cominciato con le farfalle quando era giovanissimo. Alle superiori l’entomologo statunitense, 71 anni, oggi professore all’università dell’Arizona, si è però appassionato a un’altra categoria di insetti, le api, fino a dedicare l’intera esistenza a a studiarle. Un amore, racconta a Wired, cominciato con un centinaio di punture: “Con un amico avevamo deciso di assaggiare il delizioso miele di uno splendido alveare trovato in un casolare abbandonato. Quando la prima asse di legno fece crack mentre entravamo nel fabbricato, decine e decine di api guardiane ci assalirono all’improvviso. Non aiutò il fatto che vestissi abiti fini e di colore scuro. Lezione imparata”.

Una passione, quella per gli insetti, che inizia a spopolare in città. E invece, da New York a Parigi a Milano sono sempre più le iniziative per supportare le popolazioni di api in declino a causa di inquinamento atmosferico, utilizzo di agrofarmaci, riduzione delle aree verdi, aumento delle temperature, scarsa reperibilità di cibo. L’allevamento di api tra i palazzi attira celebrità e semplici appassionati, che hanno cominciato a installare arnie sui tetti degli edifici e nei giardini pubblici. La vicinanza a giardini e balconi fioriti permette agli insetti di impollinare più facilmente, e di giocare così un ruolo negli ecosistemi urbani. Qualcuno è riuscito anche a farci un’attività imprenditoriale.

Le api sui tetti

È il caso di Beppe Manno, milanese, fondatore di Apicoltura urbana (così si chiama l’impresa). “Il nostro è un servizio completo di cura e conduzione degli alveari in spazi aziendali e di produzione di miele etichettato con il nome della società. Lavoriamo già con grandi marchi“. Manno racconta che è possibile usare le api come “bio-indicatori della salute dell’ambiente circostante. Attraverso sistemi avanzati seguiamo il loro comportamento mentre a seguito di campioni prelevati dagli alveari possiamo avere una mappa precisa delle emissioni e degli inquinanti presenti nell’ambiente che lo circondano”. “La tecnologia che introdurremo per primi in Italia – prosegue – sarà dotata di un hardware video in grado di misurare il comportamento delle api attraverso sistemi molto simili a quelli utilizzati dalle auto a guida autonoma: è possibile, per esempio, contare le api in ingresso e in uscita. Ma non solo: si può tenere traccia anche del polline presente sulle zampe Si tratta di elementi fondamentali per controllare la salute della colonia, dell’ambiente circostante e della biodiversità locale”.

In questo modo, prosegue l’imprenditore, “le aziende coinvolte possono prendere decisioni strategiche e mettere in pratica azioni reali di intervento – piantumazioni o altro  – per migliorare la biodiversità del territorio: azioni misurabili di anno in anno con la nostra tecnologia. Inoltre, attraverso un sistema posto sotto l’alveare, è possibile controllare la temperatura interna facendola innalzare periodicamente e abbattendo così in modo naturale l’acaro Varroa presente sulle api, che attualmente costituisce uno dei problemi più grandi per questi insetti”.

Le big degli alveari

Esistono anche veri e propri giganti del settore, come la canadese Alvéole, che gestisce alveari su 2.200 edifici in sessanta città in tutto il mondo. L’offerta si compone di una ricca serie di servizi, i cui costi non sono resi noti sul sito. Non manca, però, chi è preoccupato per la proliferazione di insetti, propiziata anche dall’interessamento di diverse celebrità. È già accaduto a Londra una decina di anni fa, quando la crescita esponenziale degli alveari avrebbe creato problemi legati alla quantità di nutrienti disponibili.

Fonte : Wired